Nel suo discorso di mercoledì in Senato il premier Mario Draghi, rispondendo alle domande sulla Nota verbale da parte del Vaticano sul ddl Zan, ha indicato tre punti. Il primo: “Mi preme ricordare che il nostro è uno Stato laico, non è confessionale, quindi il Parlamento ha tutto il diritto di discutere e legiferare. Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per verificare che le nostre leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa”. Il secondo: “la laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso. La laicità è tutela del pluralismo e delle diversità culturali”. Il terzo: “Ieri l’Italia ha sottoscritto con 16 Paesi europei una dichiarazione comune in cui si esprime preoccupazione per gli articoli di legge in Ungheria in base a cui si discrimina l’orientamento sessuale”.
Le precisazioni del premier non possono che essere condivise. La Nota verbale di mons. Gallagher non intendeva, certo, mettere in discussione la laicità dello Stato e l’autonomia del Parlamento. Né tanto meno vuole essere un atto di sfida dal momento che la Nota doveva rimanere riservata e non doveva essere pubblicata. Al contrario essa mira a ricordare il rispetto della laicità, la quale non indica l’indifferenza dello Stato ma implica la “tutela del pluralismo e delle diversità culturali”.
Di questo si tratta e su questo va portata l’attenzione. Il ddl Zan non rappresenta infatti, nella sua versione attuale, un progetto di legge teso semplicemente a tutelare il rispetto delle differenze sessuali. Questa è la versione ufficiale, ampiamente circolante tra i media, che rivela una manifesta trascuratezza del testo e nasconde i veri obiettivi della legge la quale mira non semplicemente alla tutela dei diritti dei gay e delle lesbiche ma alla imposizione del modello gender come normativo per tutti.
Il decreto, qualora fosse approvato così com’è, implica una rivoluzione antropologica per la quale viene rifiutata l’identità di genere in base al sesso. Le differenze sessuali cadono in secondo piano rispetto a quelle di genere e l’unione eterosessuale tra un uomo e una donna viene declassata ad una variabile in un mix di opzioni decise non in base alla natura ma alle preferenze personali e soggettive che possono continuamente variare nell’arco del tempo. La Gender Theory diviene sovrana e ciò implica la relativizzazione di ogni altra classificazione. La critica ad essa viene monitorata e normata da un insieme di disposizioni di legge con sensibili ricadute sul piano penale. Il progetto Zan è fortemente ideologico ed illiberale ed è singolare che una classe politica distratta lo proponga, senza nemmeno averlo letto, come un modello “progressivo” e “democratico”. Che cosa ha di progressivo il modello gender, espressione dell’individualismo radicale dell’era della globalizzazione che seppellisce, in un colpo solo, decenni di battaglie della donna, di lotte per l’emancipazione femminile, per il corpo delle donne?
Non a caso a sinistra sono soprattutto le donne che si oppongono alla linea dura e francamente incomprensibile della segreteria del Pd. In primo luogo il fronte femminista che con Francesca Izzo, Cristina Comencini, Marina Terragni, Francesca Marinaro, Rita Cavallari si è mostrato apertamente contrario. La loro voce non è stata, però, minimamente ascoltata. Così come non sono state ascoltate le note che il cardinal Bassetti, a nome della Cei, aveva inviato alla classe politica sollevando perplessità sul testo e chiedendo delle modifiche. Donde il passo della Nota Vaticana la quale non è stata dettata dalla Curia o dalla Segreteria di Stato senza che il Papa ne fosse avvertito, come taluni, incautamente, hanno proposto.
Il tema della libertà di coscienza è un tema caldo per il Papa, un valore “non negoziabile”. Pochi ricordano che Francesco nel suo viaggio americano del settembre 2015 si era recato, dopo la sua visita al presidente Obama, a trovare le Little Sisters of the Poor a Washington. Le “Piccole Sorelle dei Poveri” erano le protagoniste del ricorso alla Corte Suprema sulla liceità o meno dell’Obamacare, la legge sull’estensione dell’assistenza sanitaria che, ottima sul piano sociale, non lo era però per le clausole che implicavano, per gli enti e gli istituti cattolici, l’obbligo di pagamento assicurativo per i medicinali abortivi.
Una visita significativa, fuori programma, che documentava appieno il punto di vista del Papa. Il medesimo che sta dietro alla Nota Vaticana, la quale non interviene sui contenuti e questo proprio per non ledere l’autonomia del Parlamento. Il problema riguarda la forma, cioè il fatto che il contenuto – l’ideologia gender – tende a divenire vincolante per tutti e, quindi, discriminatorio.
La posta in gioco riguarda la libertà. Libertà di tutti, come ha osservato il cardinal Parolin, e non semplicemente della Chiesa. Nel testo, come ricorda Cesare Mirabelli, ex presidente del Csm e della Corte Costituzionale, oltre all’articolo 1 con le sue definizioni “metafisiche”, particolarmente controversi sono gli articoli 4 e 7, il primo sulla libertà di espressione e l’altro sulla giornata nazionale di educazione del modello gender in tutte le scuole. A rischio è la libertà educativa e quella religiosa. “Nelle scuole cattoliche una cosa è educare al rispetto di tutte le persone umane, qualsiasi sia il loro orientamento sessuale, altra cosa è ‘obbligare’ a una didattica a favore della teoria del gender”. Secondo Mirabelli “Le associazioni cattoliche potrebbero essere perseguite per i ruoli differenti al loro interno tra uomini e donne. O perché le donne sono escluse dal sacerdozio. Ancora: un’università cattolica potrebbe essere denunciata penalmente per l’adozione di testi di bioetica, come già c’è chi preannuncia di fare, non appena il Ddl Zan sarà approvato”.
Non si tratta di fantapolitica. Nel loro manifesto Ddl omotransfobia, il sesso non si cancella il gruppo femminista di “Libere” riporta casi eclatanti di discriminazione subiti da J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, per aver sostenuto che la differenza sessuale è biologica, o dalla filosofa Sylviane Agacinski per la sua opposizione alla maternità surrogata. Maternità surrogata che, dopo l’approvazione del ddl Zan, non potrebbe non essere ammessa anche in Italia. Secondo il manifesto di “Libere” “Questi episodi rendono evidente il rischio di ‘criminalizzazione’ delle femministe e di tutte coloro che rivendicano la differenza di sesso poiché, secondo la logica espressa anche nel ddl Zan, sostenere che il soggetto del femminismo sono le donne sarebbe una manifestazione di transfobia e come tale sanzionabile”.
Il ddl Zan è palesemente “sbilanciato”. Come giustamente ha dichiarato l’ex ministro Giuseppe Fioroni, figura storica del Pd, “Un diritto non si può affermare ledendone altri. La legge deve condannare ogni forma di violenza o razzismo basato sulla discriminazione sessuale senza ledere la possibilità di esprimere le proprie opinioni o la propria fede. La prova del legislatore sta nella capacità, di fronte a tre diritti costituzionalmente garantiti, di non affermarne uno a scapito degli altri due”.
Il bilanciamento dei diritti è condizione della libertà di espressione. Negli Stati Uniti una sentenza della Corte Suprema ha dato ragione ad una agenzia affiliata alla Chiesa cattolica, la Catholic Social Services, la quale si era vista sospendere l’affido dei bambini da parte della città di Philadelphia, visto il rifiuto della Css di certificare le coppie omosessuali come affidatarie. L’agenzia aveva fatto causa all’amministrazione cittadina, accusandola di violare il Primo emendamento della Costituzione sulla libertà di parola e di religione. Motivazione accolta all’unanimità dai giudici, come si legge nella sentenza di Roberts: “Il rifiuto di Philadelphia di appaltare alla Css i servizi di affidamento a meno che non accetti le coppie dello stesso sesso come genitori affidatari non può sopravvivere a un rigoroso controllo e viola il Primo emendamento”.
La sentenza, di grande rilievo in questo momento storico, è passata sotto silenzio nei media italiani. Essa inquadra un caso di controversia che potrebbe divenire comune dopo l’approvazione del ddl Zan nella sua forma attuale. Per questa il Parlamento deve, come ha detto il presidente Draghi, “verificare che le nostre leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa”.
La libertà di religione è presidio di ogni altra forma di libertà. Questo è il nodo del contendere e non le risibili discussioni sull’“invadenza” vaticana. Il ddl Zan è, nella sua forma attuale, illiberale e discriminatorio. Non solo per i cattolici ma per molti, per i tanti che, diversi per orientamento politico, non si riconoscono nel modello gender come paradigma universale.
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