Il ministero dell’Istruzione, con la nota del 6 maggio 2021, avente per oggetto la valutazione nelle classi intermedie, ha richiamato l’attenzione “sulla necessità che la valutazione degli studenti rifletta la complessità del processo di apprendimento maturato nel contesto dell’attuale emergenza epidemiologica.
Pertanto, il processo valutativo sul raggiungimento degli obiettivi di apprendimento avverrà in considerazione delle peculiarità delle attività didattiche realizzate anche in modalità a distanza, e tenendo in debito conto delle difficoltà dagli studenti in relazione alle situazioni determinate dalla già menzionata situazione emergenziale”.
Riconosciuta, come ricorda la stessa nota, che la valutazione delle attività svolte in modalità a distanza produce gli stessi effetti delle attività didattiche in presenza e regolamentato, anche nel contratto nazionale, l’obbligo di svolgere attività a distanza, i docenti quest’anno si sono trovati a dover affrontare il nodo della valutazione. A causa della situazione emergenziale, la gran parte delle energie sono state inevitabilmente investite, dal singolo e dalla comunità scolastica, soprattutto per approfondire l’utilizzo degli strumenti tecnologici indispensabili per “fare lezione”. Di conseguenza l’aspetto della valutazione è stato spesso affrontato con metodi tradizionali: abbiamo ad esempio letto sui giornali i casi di docenti che hanno interrogato gli studenti facendoli bendare, nel tentativo di ricercare una “valutazione il più possibile oggettiva”.
Insieme a questi tentativi vi è stata la realtà quotidiana di studenti che, nonostante i fondi messi a disposizione delle scuole, hanno fatto lezione a distanza con connessioni pessime o dispositivi poco funzionali, quali i cellulari. “Prof, non funziona la connessione” è forse la frase dell’anno, tante volte – coincidenze della vita – nel bel mezzo di una verifica!
Ma anche quando la connessione era perfettamente funzionante, con chi ci collegavamo nell’ora di lezione? La nostra voce, il nostro volto chi raggiungeva?
Uno studente, un ragazzo, in una casa, in una cameretta, una cucina, contesti ben diversi dall’aula scolastica. Genitori, nonni, fratelli, che in modo variegato e talvolta variopinto hanno com-partecipato alle ore di lezione. A volte l’arrabbiatura di un ragazzo verso la madre che irrompeva nella stanza in modo inopportuno per fare pulizie, il cane che gironzolando condivideva il suo guaito, il corriere Amazon che bussava alla porta, l’infermiere dell’Asl che andava a fare il tampone alla famiglia in quarantena.
E poi i messaggi degli studenti, attraverso i numerosi strumenti di comunicazione resi ordinari dall’emergenza, che raccontavano le loro difficoltà nello studio a causa di eventi familiari sopraggiunti: case pignorate, parenti da assistere, difficoltà economiche quasi mai dichiarate ma intraviste tra le righe. Messaggi che potevano essere scuse antiche quanto la scuola oppure indicare realtà con cui fare i conti. E i colloqui con i genitori, che raccontavano di figli chiusi in sé stessi, con problemi di anoressia, perdita di gusto del vivere, attacchi di panico, fenomeni sopraggiunti o acuitisi durante la pandemia. Insomma un mondo che, in modo sommesso o dichiarato, è emerso nel corso di quest’anno scolastico, segnato, soprattutto in alcune regioni come la Campania, da un rapporto mediato quasi esclusivamente attraverso lo schermo di un pc. Un mondo che, a causa della pandemia, è andato ben al di là delle già enormi difficoltà che la scuola ordinariamente affronta.
Al termine di un anno così, come valutare? Cosa valutare? Quali apprendimenti e competenze e con quali metodologie? È una domanda che credo tutti noi docenti ci siamo posti. I collegi docenti hanno fissato criteri, griglie, per una valutazione, che, come indicato nella normativa di riferimento, “è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale”. Ci sono stati spesso fiumi di discussione tra docenti e all’interno degli organi collegiali.
Scriveva Massimo Recalcati su Repubblica a maggio, commentando la riapertura in presenza della scuole superiori: “Non ha alcun senso bombardare di verifiche i nostri figli quando questo anno scolastico, come quello precedente, è stato ed è ancora appeso ad un filo, quando chiusura e riapertura si sono alternate seguendo necessariamente il ritmo destabilizzante dell’epidemia. Sta accadendo lo stesso in tutte le organizzazioni. La ricostruzione del tessuto relazionale è diventata la condizione basica per rendere possibile una ripartenza della stessa attività produttiva. Nessun tempo come il nostro ci ha insegnato che la relazione in qualunque organizzazione, scuola compresa, non è un ornamento secondario, rispetto al raggiungimento dei propri obbiettivi, ma la sua condizione di possibilità. Dunque, i docenti non farebbero torto alla loro professione se subordinassero la programmazione didattica al recupero del valore umano della relazione, perché la didattica senza relazione non può esistere”. Credo che questo “accorato appello” alla scuola, come lo stesso Recalcati lo definisce, possa essere il punto di ri-partenza, prima di qualunque altra considerazione.
La nota del ministero del 6 maggio, con molto buon senso, ci ha ricordato il momento epocale vissuto dalla scuola nel corso di quest’anno scolastico; Massimo Recalcati ha indicato nella relazione educativa le fondamenta affinché l’azione didattica possa essere efficace in questo contesto.
La pandemia ha mostrato più che mai che un ragazzo può “produrre”, cioè conoscere, maturare, sviluppare competenze, solo se c’è una relazione educativa, sia che essa nasca attraverso uno schermo che in un’aula scolastica. Non si tratta di deresponsabilizzazione degli studenti o di buonismo, ma di arare il terreno affinché possano esserci frutti. Sul terreno arato potranno attecchire le metodologie e gli strumenti che ciascun docente o corpo docente ritiene più adeguati al fine di sviluppare i processi di apprendimento.
Quando a settembre la scuola riaprirà – tutti ci auguriamo di varcarne i cancelli – sicuramente sarà evidente tutto quello che “manca” nelle conoscenze dei nostri studenti. Si aprirà allora una grande sfida: non schemi da riproporre, ma tentativi di ricercare strade ragionevoli, percorribili, umanamente interessanti, che sfidano l’intelligenza e la curiositas di chi abbiamo di fronte e rendono sempre nuovo e pieno di bellezza il lavoro del docente.
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