Da un anno e mezzo a questa parte sono solito ripetere che la pandemia ha permesso di esprimere il lato peggiore di questa società e di noi. Edonisti, emotivi, desiderosi di essere deresponsabilizzati. Chiaramente noi tutti, nel mondo della scuola, non abbiamo risparmiato fiato, nelle nostre lamentazioni, su quanto è orribile la didattica a distanza, il distanziamento, le classi spezzate. Ci mancava solo una veletta nera in testa ed eravamo delle prefiche perfette, urlanti intorno al cadavere della scuola.
E adesso? Adesso che l’anno è finito, basta il miraggio di una vacanza “normale”, su una rumorosa spiaggia “normale”, a grigliare a fuoco lento sotto un sole “normale”, con “normali” vicini di ombrellone fastidiosi? Dimentichiamo tutto?
Così è, se vi pare, diceva Pirandello. In effetti, il pensiero di scordare la stanchezza di questo anno folle e disumano ha un che di allettante e condivisibile. La voglia di girare le lancette all’indietro, come se il Covid sia stato un brutto incubo, ci sta tutta.
Ma, un po’ scalfaramente, mi viene da dire “Io non ci sto”. Il desiderio di una routine che ci rassicuri è insito in noi uomini, ma questo non significa che per salvare la nostra quiete mentale dobbiamo buttare il proverbiale bambino con l’acqua sporca. Ripartire a settembre come se nulla fosse accaduto sarebbe non solo irresponsabile, ma stupido e forse anche un po’ triste.
Urge una domanda: cosa è stato quest’anno appena passato? Se la risposta è: niente di salvabile, allora cambiamo mestiere. Sia chiaro, non è una questione di “resilienza”, del dover guardare la realtà attraverso delle lenti rosa perché sì e perché ce lo dice il ministro. È questione di capire dove i binari scombinati del 2021 hanno condotto il nostro malandato e deragliato treno. Anzi, mi correggo, non di capire. Semplicemente di guardare. È proprio nel teatrino dell’assurdo che si possono notare gli sprazzi di una umanità più vera. Più vera perché rivendicata con forza nonostante l’annichilente e anestetizzante mondo che ci circondava.
Ho visto rapporti umani logorati, basi di fiducia infrante, ma anche, tra le macerie, il desiderio di ricostruire da capo. Straordinario quanto imprevisto. Ecco, questa è la “vera” resilienza. Il tenace, insopprimibile desiderio di non farsi sovrastare dal nulla. Ai miei studenti ho dovuto far fare cose nuove, diverse. E pur tra un “che palle” e l’altro, hanno tirato fuori qualcosa di spettacolare, un traboccare di creatività e umanità che non avrei mai potuto scorgere se le circostanze fossero state “normali”. Sono stato costretto a proporre qualcosa che andasse al di là del binario. I ragazzi amano i binari, come gli adulti (solo, lo esplicitano con minor ipocrisia) e odiano doverne uscire. Ma quando ci si sono messi, ecco che anche loro, pur a tentoni, con una piccola lanterna nel buio della caverna, hanno esplorato e hanno tirato fuori scrigni con tesori insperabili.
Toh, scrivendo scopro di essermi smentito, almeno in parte. Il Covid avrà tirato fuori il peggio di noi, ma dal letame è pur nato qualche fiore.
Ecco, lamentiamoci pure di quanto sia stato un annus horrbilis, ma non assecondiamo il volere di un pensiero unico che ci vuole in perenne vuoto di memoria post-sbronza. Facciamo tesoro di questi brandelli di umanità per ritrovare il senso e il perché del mestiere più bello del mondo, di educare ed insieme essere educati.
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