La fine anticipata del cashback, misura varata dal Governo Conte-2 su pressing del Movimento 5 Stelle, che non a caso ha chiesto un passo indietro sulla decisione presa in cabina di regia lunedì, potrebbe rappresentare un altro duro colpo per i pentastellati, il cui futuro non appare ancora chiaro dopo che Beppe Grillo ha “liquidato” ieri Giuseppe Conte. Le loro difficoltà potranno pesare sull’azione del Governo rendendolo più instabile? «Dal mio punto di vista la situazione di M5s crea più difficoltà all’alleanza di sinistra che non al Governo», è la risposta di Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
Perché ne è così certo?
Gi eletti dei 5 Stelle saranno più liberi di accasarsi con altri partiti, ma credo che principalmente resteranno attaccati a Di Maio, il quale non ha certo bisogno di Conte. Il ministro degli Esteri si sta dimostrando molto abile ad adeguarsi alla corrente del momento. Se prima era filo cinese, non ha avuto problemi a diventare filo atlantico accogliendo a braccia aperte il Segretario di Stato Usa come se fosse un suo vecchio amico. Tanti tra i pentastellati, quindi, lo seguiranno sperando anche di essere rieletti. E non è detto che Di Maio stia con la sinistra, sia nelle amministrative, sia, soprattutto, nell’elezione del presidente della Repubblica, dove questo gruppo di parlamentari trasformisti potrebbe avere un ruolo importante.
Secondo lei Di Maio potrebbe arrivare a votare il capo dello Stato con il centrodestra?
I Presidenti della Repubblica sono sempre stati votati da coalizioni trasversali. E perché mai Di Maio dovrebbe votare necessariamente con il centrosinistra? Voterà per chi potrà garantire a lui e ai suoi benefici futuri, come incarichi o poltrone in alcuni enti che possono durare anche oltre la fine della legislatura. Probabilmente il ministro degli Esteri, come già ha fatto presentandosi come difensore del ceto medio, cercherà di collocarsi al centro, da dove si possono anche votare candidati del centrodestra, oltre che del centrosinistra.
E da dove si può votare anche per Draghi come successore di Mattarella…
Come ho già avuto modo di spiegare, non so se il Premier voglia succedere a Mattarella: dovrebbe rinunciare ad altri incarichi molto più rilevanti a livello internazionale, all’Ue o al Fmi.
I 5 Stelle, però, potrebbero non andare tutti con Di Maio.
È così. Tra i parlamentari pentastellati non mancano i giustizialisti, i duri e puri anti-industriali o contrari alle grandi opere. Questo può rallentare la formazione del consenso in caso di opinioni divergenti nella maggioranza. Il Premier in questo caso potrebbe aver bisogno infatti del Parlamento, ma con lo “spezzettamento” di M5s avrebbe delle difficoltà nel far votare rapidamente alcuni provvedimenti.
Provvedimenti importanti?
Quelli più importanti, essendo stati inseriti nel Pnrr sono per certi versi “blindati”: non rispettare il cronoprogramma sarebbe un danno per tutto il Paese. Ci potrebbero quindi essere problemi su altre misure non certo irrilevanti come il futuro dell’Ilva o lo sblocco di alcuni cantieri.
Per quanto riguarda il blocco dei licenziamenti, alla fine il Governo ha trovato un accordo con i sindacati. C’è comunque il rischio che l’esecutivo debba fare i conti nei prossimi mesi con “l’opposizione” di Cgil, Cisl e Uil?
Se così fosse significherebbe che i sindacati intendono fare politica e i vertici delle confederazioni si allontanerebbero sempre più dai lavoratori. Io credo che Cgil, Cisl, Uil e Confindustria dovrebbero dire: rinunciamo al nostro potere di regolamentazione verticale in cambio di un blocco selettivo dei licenziamenti che può essere poi ulteriormente portato avanti in alcuni settori a seconda di come evolve la situazione, lasciando ovviamente il “paracadute” degli ammortizzatori sociali. Al di là del nodo dei licenziamenti sarebbe comunque importante che le parti sociali e il Governo trovassero l’accordo per intervenire su due criticità del mercato del lavoro: l’eccessiva rigidità contrattuale determinata dal Decreto dignità; la mancanza di formazione, resa anche evidente dalla carenza di muratori, idraulici ed elettricisti. Non so quanto Draghi stesso abbia la percezione di queste e altre criticità economiche.
Cosa intende dire?
Intendo dire che il Premier è un macroeconomista, non un microeconomista, come pure il principale consulente che si è scelto, Giavazzi. Draghi avrebbe invece bisogno di un microeconomista in grado di indicargli, per esempio, come risolvere i problemi degli alberghi, dei ristoranti, delle discoteche e di tutta quella parte dell’economia che ancora è ingessata e rovinata dagli effetti del virus.
(Lorenzo Torrisi)
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