Nell’intraprendere l’analisi del rapporto tra inflazione e svalutazione e i conseguenziali termini tra creditori e debitori, giova dare una definizione precisa della svalutazione.
La svalutazione è soprattutto termine di economia internazionale e indica in tal modo l’abbattimento del valore che uno Stato fa della propria valuta nei riguardi di tutte le altre valute internazionali (in primis il dollaro americano); questo è ciò che avviene in regime di cambi fissi (regime non attuale a livello internazionale), in quanto in regimi di cambi flessibili, regime dominante sul mercato internazionale, si utilizzano i termini apprezzamento/deprezzamento.
Ora, lo scopo delle svalutazioni (o al contrario rivalutazioni) oppure apprezzamenti/deprezzamenti è intervenire sul saldo, sull’entità e sul volume della bilancia commerciale del proprio Paese, e per tale via influenzare il prodotto interno o anche con altra misurazione il prodotto nazionale; la bilancia commerciale, a sua volta è formata dagli scambi di beni e servizi col resto del mondo, con le transazioni finanziarie col resto del mondo, piccole altre partite di carattere più residuale (ad esempio, rimesse straordinarie, condoni debiti, ecc.) e in funzione di chiusura e controllo dal movimento delle riserve ufficiali delle banche centrali, le quali provvedono alla parificazione contabile della bilancia commerciale, e sono gli attori istituzionali di primo intervento per correggerne gli squilibri o modificarne gli scopi.
Da quanto sopra affermato si comprende, allora, in maniera abbastanza lineare che le bilance commerciali sono il canale di trasmissione dell’inflazione da un Paese all’altro, e per tale motivo il rapporto tra svalutazioni e inflazione e/o deprezzamenti/inflazione è stringente, in quanto uno Stato cercherà di approfittarne (se possibile, caso raro), oppure, come di prassi, cercare di isolarsi il più possibile dall’inflazione internazionale
Facciamo un esempio che coinvolge l’Italia; torniamo sempre al barile di petrolio, e vediamo che da qualche settimana dai 63 dollari al barile ci siamo avvicinati ai 75 dollari al barile wti; sebbene sia una variazione nuda e pura di quasi il 20% in poco più di un mese, la sua entità in questi termini non è fonte di allarme quanto di monitoraggio; ma se ad esempio il barile passasse a 90 dollari al barile (trascinando poi con sé prima il prezzo degli altri combustibili fossili) e poi a cascata quello di tutte le altre materie prime, si dovrebbe a tal punto constatare di essere nel pieno di una crisi inflattiva; quali le azioni a disposizione del nostro Paese?
A livello valutario e monetario puro, la risposta in questo caso è nell’euro, e quindi l’attore è la Banca centrale europea. Comunque, al di là di questo aspetto, per l’esempio che stiamo illustrando è d’obbligo ricordare che essendo l’euro una valuta forte in ambito internazionale, tenderà a minimizzare lo shock di prezzo petrolifero, con basso deprezzamento (potrebbe all’opposto configurarsi anche un apprezzamento e assorbire del tutto sulle importazioni gli shocks petroliferi, di nuovo queste ipotesi di scuola).
La verità pratica è che nell’attuale economia internazionale incredibilmente interconnessa, il famoso mercato globale, l’inflazione tracima in ogni dove e in ogni angolo se a sperimentarla sono in maniera quasi sincrona i maggiori Paesi industrializzati, e per tale via arriviamo al cuore del problema: rapporti tra creditori e debitori in un contesto inflattivo, dato che uno Stato sarà debitore e l’altro creditore, e così via e per tale percorso si arriverà al rapporto tra creditori e debitori all’interno di ogni singolo Stato.
A una prima osservazione appare subito qualcosa che stona, che stride; in buona sostanza, qualsiasi persona, qualsiasi ente è contemporaneamente creditore e debitore, e dunque se c’è un aumento persistente dei prezzi questo aspetto dovrebbe essere un puro fenomeno monetario (come per i più estremi economisti monetaristi), e quindi senza ricadute economiche, sociali e psicologiche. Ma osservando la realtà fattuale e quotidiana, chi se la sente di aderire a tale manifesto di intenti? Quando c’è inflazione severa (ma anche moderata, basta e avanza), i problemi quotidiani diventano drammatici: si sperimenta l’aumento generalizzato e privo di armonia alcuna dei prezzi di beni e servizi, e per il bilancio familiare inizia a diventare dura affrontare tutto questo. Sebbene un nucleo familiare sia fatto di percettori di reddito, i quali in presenza di inflazione aumentano anch’essi, alla fine dei conti c’è il dramma sociale e economico. Perché?
La moderna teoria macroeconomica, mettendo insieme posizioni keynesiane e monetariste, grazie al trait d’union della teoria delle aspettative di Lucas, dà la spiegazione nel fatto che l’inflazione (soprattutto dalla moderata in avanti) altera il rapporto tra creditori e debitori, diventa cioè un momento di lotta aspra tra percettori di redditi prodotti in maniera diversa, e nelle fasi più drammatiche può ridiventare vera e propria lotta di classe.
Per quanto possa sembrare strano, l’esempio che illumina in maniera esemplare quanto detto proviene dalla storia di Roma all’epoca repubblicana dei patrizi e plebei, e in particolare dalla scissione dell’Aventino da parte della plebe e del celeberrimo discorso di Menenio Agrippa. È proprio in tale modo: sebbene alla fine l’incremento dei prezzi all’interno di una società sia a somma zero, in quanto sono aumentati valori creditori e debitori (monetaristi puri e duri), come si evince dal discorso di Menenio Agrippa, se all’interno dell’organismo il cibo lo vuole tutto lo stomaco – quindi il corpo restando sempre identico a se stesso – priva dello stesso tutti gli altri organi, vengono però drammaticamente modificate e alterate le funzioni degli stessi (organi) che restano senza cibo, e per tale via il corpo morirà.
È veramente straordinario che negli aneddoti storici di 2.400 anni fa si ricavano immagini potenti per la modernità. Infatti, tornando a un linguaggio maggiormente preciso nei termini, quando c’è inflazione, il rapporto tra i volumi dei soggetti che sono maggiormente debitori (ad esempio, le imprese) e quelli maggiormente creditori (le famiglie) si altera, e se questa alterazione è troppo pronunciata diventa un pericolo per l’intera società. Solamente, che agli attuali tempi che stiamo vivendo l’ulteriore complicazione data da un’eventuale comparsa di inflazione è che il debitore più grande di tutti e in quantità smisurate è diventato lo Stato: il problema dei debiti pubblici giganteschi dei nostri giorni
Come ripagarli? Una soluzione: una iper-inflazione, e poi..? Poi, lo scatafascio.
Ecco perché la gestione monetaria di quello che sta accadendo, anche alla luce della pandemia Covid-19, è delicatissima e perigliosa; le autorità monetarie e poi quelle politiche hanno vere patate bollenti tra le mani, e già lo si è ricordato in interventi precedenti: le famose politiche di Qe della Bce o le easy money della Fed sono servite proprio a scongiurare in ultima analisi l’esplosione di tassi inflattivi paurosi, e questo sembra paradossale.
La spiegazione è la seguente: senza intervento delle autorità monetarie, i tassi di interessi dei debiti pubblici sarebbero schizzati alle stelle, e per tale via in base anche alle aspettative sarebbero stati coinvolti i tassi di inflazione, visto che la crescita reale ante-Covid era molto molto bassa (eccezione Cina e tigri asiatiche in maniera parziale); infatti, la crescita la dà l’attività imprenditoriale effettiva e non il semplice ingigantirsi dei debiti pubblici.
Questo è l’aspetto del famoso discorso di Draghi: debito buono e debito cattivo. In maniera capziosa molti risponderebbero che oggi gli Stati sono quasi solo in grado di generare debito cattivo.
Morale della favola: è come se fossimo imprigionati e incatenati da enormi forze che si contrappongono e che vanno gestite con cautela massima, pena lo scatenarsi di eventi enormi. L’inflazione sì, ma non troppo alta, sennò i debiti pubblici non sono sostenibili; e quindi la reflazione: un’inflazione armoniosa con tanta crescita, nella quale il rapporto tra creditori e debitori all’interno di una società non venga messo in tensione né di sfilacciamento, né maggiormente di rottura.
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