Nella classifica emanata da Bloomberg sull’efficienza con cui i vari Paesi hanno affrontato il Covid-19, su 63 analizzati l’Argentina occupa l’ultimo posto. Ma i dati negativi per il Governo di Alberto Fernandez non si fermano all’emergenza sanitaria: tra i Paesi latinoamericani, l’Argentina figura al penultimo posto per il valore di un salario minimo convertito in dollari.
Fanalino di coda è ovviamente il suo modello, quel Venezuela al quale si sta avvicinando a grandissimi passi e al quale ogni giorno o quasi la maggioranza della popolazione non vorrebbe mai assomigliare, visto non solo l’ondata di proteste che ogniqualvolta il Presidente si muove dalla Casa Rosada (sua residenza) scoppiano ai quattro angoli del Paese, ma dimostrato pure dai risultati delle elezioni che la settimana scorsa si sono tenute a Jujuy, nel Nord dell’Argentina, dove il kirchnerismo ha rimediato una sonora sconfitta ottenendo solo il 5% dei suffragi: a novembre sarà il turno più importante, quello delle elezioni governative che dovranno comporre l’arco politico di deputati e senatori del Congreso de la Nacion. Che, al giorno d’oggi, produrrebbe una debacle tale nel Governo da rendere impossibile la gestione del potere, nella miglior tradizione dell’attuale incertezza che travolge l’intero continente latinoamericano.
Ma il caso Argentina, pur avendo le radici nella problematica populista, ha dei contorni molto più originali di quelli del Perù, anche se meno amletici: perché è obiettivamente difficile, per non dire impossibile, trovare un dicastero che abbia praticamente sonoramente fallito tutti gli obiettivi, pure quelli non straordinari, compiendo il classico miracolo alla rovescia, nel senso che sembrava letteralmente impossibile arrivare a un punto tale di distruzione del Paese.
E tutto questo si deve a una cosa molto semplice, che va più in la della caterva di promesse elettorali (tutte indistintamente mancate) o dalla sostanziale capacità del potere di creare sempre delle favolette per giustificare i propri errori, basate su falsi sia storici che di politica internazionale: il concetto di democrazia, che si basa sulla convivenza tra poteri anche ideologicamente lontani, qui, a causa del peronismo che da 70 anni si è instaurato nel Paese, assume atteggiamenti conflittuali e repressivi che purtroppo hanno come vittima il popolo, che subisce le angherie di un supposto “giustizialismo” e si avvia verso il miracolo della moltiplicazione della povertà che ormai è il marchio di fabbrica di certi poteri.
Eppure per trovare una democrazia che funzioni, l’Argentina dovrebbe guardare solo sull’altra riva del bellissimo Rio della Plata che, sulle opposte sponde, la unisce con l’Uruguay, nazione dove Pepe Mujica e Julio Maria Sanguinetti, ex Presidenti e rivali di decadi intere, scelgono di ritirarsi dalla carica di Senatori insieme e abbracciandosi. Mentre in Argentina l’attuale Vice ed ex Presidente Cristina Kirchner non riesce nemmeno a guardare Mauricio Macri durante la cerimonia del passaggio di consegne presidenziali svoltasi nel Congreso due anni fa, come non fu minimamente capace nemmeno di presenziare a quella del passaggio di poteri, finalizzato nel “Bastone del Comando” che costituisce ormai una tradizione della (supposta) democrazia argentina quando perse le elezioni nel 2015.
Solo 230 chilometri separano le opposte sponde del grande fiume, ma paiono secoli nell’Istituzionalità di politiche che da una parte si basano sull’odio (che porta inevitabilmente alla famosa spaccatura del “Dividi et Impera”), dall’altra sul rispetto.
Ma torniamo al Covid-19: il 1° luglio dello scorso anno l’Argentina, pur con un numero di tests assolutamente insufficiente a dare una visione realistica dei contagi, aveva 67.401 infetti con 1.351 morti: erano tempi in cui il Presidente Fernandez, nelle sue conferenze stampa, si autoelogiava dei bassi contagi dovuti (secondo lui) alle misure prese dal suo Governo (in pratica una quarantena totale, 8 mesi, la più lunga del mondo) criticando altri Paesi spesso con dati falsi che provocavano le proteste delle Ambasciate delle nazioni coinvolte. Ora, passato un anno e con controlli sempre insufficienti, i casi son diventati oltre 4 milioni e mezzo e si stanno raggiungendo i 100.000 morti. Stiamo parlando di una nazione molto estesa e poco abitata (sia in numero – 40 milioni – che in quantità – 17 abitanti per km quadrato), quindi con dei vantaggi grandissimi in ordine di tempo per contrastare la pandemia, viste le distanze tra nuclei abitativi.
Invece, fin dall’inizio, la seria catastrofica di errori ha di fatto aggravato la questione, portandola a essere una delle peggiori al mondo. E le cause si possono riassumere in quello che abbiamo sopra descritto: questioni ideologiche di stampo politico che finora hanno provocato un indice di vaccinazione non solo molto basso, ma pure basato principalmente sul vaccino russo Sputnik, rifiutando gli altri (con la sola eccezione del cinese – poco efficace – e di un numero ridotto di AstraZeneca) e questo nonostante le offerte specie del vaccino Pfizer, rifiutato in 13 milioni di dosi (così come il Moderna e il Johnson&Johnson) per motivi ignoti, visto che le richieste di spiegazioni di questo errore letale (che difatti avrebbe potuto salvare più di un terzo delle vittime se solo si fossero aperte le porte) fatte dall’opposizione sono cadute nel nulla.
Il problema non sta nell’efficacia o meno del vaccino russo, ma nel fatto che, dopo l’epica degli arrivi delle prime dosi con voli di Aerolineas Argentinas, i pianti delle hostess parte delle fiction mediatica, si è scoperto che la seconda dose (necessaria per completare la vaccinazione) la Russia non la può consegnare perché non in grado di produrla in maniera sufficiente per coprire le proprie esigenze, fatto che ha scatenato un’emergenza anche per i numeri dei contagi e dei decessi veramente importanti. E così mentre il Cile comprava 10 milioni di dosi, l’Argentina si trovava con una seconda ondata terribile e senza poter disporre di vaccini sufficienti per contrastarla.
E difatti, come accaduto lo scorso anno, sono scattati dei provvedimenti di restrizioni inspiegabili, come quella di non permettere a più di 600 argentini di atterrare da voli internazionali, cosa che ha di fatto azzerato il traffico aereo e costretto circa 40.000 argentini a non poter rientrare, bloccandoli in altri Paesi.
Misura presa in teoria per limitare l’accesso delle nuove varianti del virus, ma in pratica (come per la faccenda dei vaccini) molti media hanno visto una mossa politica per punire coloro che, per le ragioni più varie, si sono recati all’estero. La classe media sembra essere diventata il bersaglio di politiche che somigliano sempre più a quelle venezuelane. Infatti, se da una parte viene instaurato il blocco aeroportuale, dall’altra l’ampia frontiera con la Bolivia, da sempre un colabrodo che permette attività e commerci illeciti, viene mantenuta senza controlli, quasi fosse esente da pericoli sanitari.
Alla fine solo il 9,9% della popolazione argentina risulta completamente vaccinata mentre lo è il 51% di quella cilena e il 53% dell’Uruguay. La percentuale Argentina arriva al 12% con una sola dose e quindi colpita da questa improvvisa mancanza di rifornimenti di dose 2 russa, a cui il Governo sta cercando di mettere una soluzione attraverso un Decreto Presidenziale (DNU), imponendo l’importazione sia di Pftzer, che di Moderna e J&J dopo che il Congreso de la Nacion si era espresso contro questa manovra per autorizzare l’uso di Pfizer sulla popolazione di circa 100.000 giovani disabili ai quali non poteva essere somministrato altro vaccino per questioni di salute. Una mossa decisa dal Presidente dopo che il suo Governo aveva adottato questa restrizione assurda nei confronti di una massa di persone deboli: l’apertura forzata di Fernandez ha nello stesso tempo (finalmente) sbloccato la percentuale argentina delle 14 milioni di dosi donate gratuitamente dagli Usa ai Paesi latinoamericani che in precedenza era soggetta alla proibizione governativa.
” Preferisco avere un 10% di povertà in più che arrivare a 100.000 morti per Covid-19″, aveva dichiarato il Presidente argentino nell’aprile del 2020. E, visti gli effetti delle politiche del suo Governo si può dire come purtroppo le cifre attuali danno ormai per raggiunti questi due obiettivi.
Il Capo Gabinetto della Presidenza, Santiago Cafiero, ha definito il tempo perduto nell’arrivo di altri vaccini “un’esperienza che ci insegna quando esiste il potere di apprendere la necessità di certi cambiamenti”. Dichiarazione che rende l’idea di come, attualmente, la politica in Argentina conti più della vita umana, visto il grido di dolore che lanciano i numeri attuali della pandemia. Per capirlo bastava dare uno sguardo alla sponda opposta del Rio de La Plata.
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