La visita ufficiale di Mattarella in Francia ha riportato alla mente di molti commentatori il Trattato del Quirinale al quale aveva cominciato a lavorare il Governo Gentiloni insieme al neo-eletto Macron, ma che era stato poi stoppato dal Conte-1. Cambiata la maggioranza, ma non il premier, appena prima dello scoppio della pandemia, in una visita del capo di Stato francese a Napoli, era stata ribadita la volontà di arrivare presto alla firma di questo accordo, cosa che potrebbe avvenire il prossimo autunno, con i due presidenti della Repubblica in scadenza. Anche per questo, secondo Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, sarebbe bene aspettare ancora.
Professore, cosa non la convince del possibile trattato tra Italia e Francia?
Principalmente due cose. La prima è che non c’è un rapporto equilibrato tra i due Paesi. Guardiamo al piano economico: negli anni è aumentato il numero di banche e società di gestione del risparmio acquistate da competitor d’Oltralpe. Questo vuol dire che i risparmi degli italiani diventano di fatto francesi. Molte società di un settore importante del Made in Italy come quello della moda sono a controllo francese. E ora anche nell’auto, con la nascita di Stellantis, si apre una questione non certo irrilevante: non solo quella relativa a chi controlla la società, ma anche quella sugli stabilimenti che restano aperti o che al contrario vengono chiusi. C’è in Francia un golden power molto più stringente che da noi. Poi ci sono due questioni molto più grosse e connesse.
A cosa si riferisce?
La situazione in Libia e nel Mediterraneo è connessa sia agli approvvigionamenti energetici, un settore dove Eni e Total sono concorrenti, sia agli sbarchi di migranti sulle nostre coste. Senza dimenticare che i francesi portano avanti una politica estera tutta loro, anche in Medio oriente, che è slegata da quella unitaria che si vorrebbe realizzare tra i Paesi Nato.
Insomma, lei vede il rischio di un trattato non equilibrato e che potrebbe crearci problemi di politica estera. Qual è il secondo fattore che non la convince?
Ritengo che sia poco opportuno che il trattato possa essere siglato in un momento in cui il presidente della Repubblica sarà entrato nel semestre bianco. Sarebbe più sensato attendere la nomina del nuovo presidente. Che potrebbe teoricamente essere ancora Mattarella. E poi anche Macron è vicino alla scadenza del suo mandato. Sarebbe meglio quindi aspettare.
Draghi ha recentemente ricordato ancora la necessità di rivedere le regole del Patto di stabilità e crescita. Può trovare una sponda nella Francia?
Il Patto di stabilità non è adeguato alla situazione imprevedibile che si è verificata. Abbiamo un output gap di capacità produttiva non utilizzata derivante dalla pandemia che rende illogico qualsiasi ragionamento sull’utilizzo dell’austerità per contenere il debito pubblico come quelli che si facevano prima del Covid. La sostenibilità del debito dipende da fattori diversi dal mero rapporto con il Pil ritenuto ottimale al 60%.
E il nostro debito pubblico è sostenibile?
Sì, sia perché è principalmente in mani nazionali, sia perché gli italiani hanno molti risparmi che evitano il crearsi di problemi alla nostra bilancia dei pagamenti. Ciò non toglie che dobbiamo tenere in ogni caso i conti in ordine e fare le necessarie riforme, in particolare per quel che riguarda il mercato del lavoro, cosa che aiuterebbe la ripresa dell’economia.
Torniamo alla domanda precedente: Draghi farebbe bene a cercare una sponda francese?
Sì, anche perché, dopo la Brexit, gli unici Paesi europei con una finanza sviluppata sono Italia e Francia. Che sono anche quelli che hanno finora gestito la politica monetaria europea. Draghi ha buoni argomenti per costruire un’alleanza italo-francese che in qualche modo si contrapponga all’austerità dell’asse tradizionale franco-tedesco, nel quale di fatto Parigi, per ottenere degli sconti, appoggiava le istanze di Berlino. Ora, però, la situazione dei conti pubblici francesi rende sempre più difficile chiudere un occhio per i tedeschi.
(Lorenzo Torrisi)
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