Potrebbero volerci giorni, forse settimane prima di sapere le motivazioni della sentenza della Cassazione sul caso del crocifisso a scuola: da quanto trapela su “Tecnica della Scuola” e “Terni in Rete” – ma sono notizie ufficiose – l’intento della Suprema Corte di Cassazione è quella di una mediazione da trovare per evitare «soluzioni autoritarie», trovando un «ragionevole accomodamento» quando si tratta di comporre conflitti che nascono nella comunità scolastica. Per i giudici ermellini, quello che va trovato in un caso spinoso e complesso come quello del ricorso effettuato dal professore ternano ateo, è un «metodo mite» che possa portare ad una mediazione auspicata senza imposizioni di legge o di sentenze.
Di fatto viene ripresa la precedente ordinanza di remissione, sentenza 19618 del 18 settembre 2020 dove la Cassazione scriveva, «Ci si può chiedere se, a fronte della volontà manifestata dalla maggioranza degli alunni e dell’opposta esigenza resa esplicita dal docente, l’esposizione del simbolo fosse comunque necessaria o se non si potesse realizzare una mediazione fra le libertà in conflitto, consentendo, in nome del pluralismo, proprio quella condotta di rimozione momentanea del simbolo della cui legittimità qui si discute, posta in essere dal ricorrente (il docente ndr) sull’assunto che la stessa costituisse un legittimo esercizio del potere di autotutela». La piena sentenza arriverà con le motivazioni tra un mese circa, non resta che attendere per capire quale sviluppo avrà per il futuro la possibilità o meno di esporre il crocifisso nelle scuole pubbliche. (agg. di Niccolò Magnani)
IL RICORSO DEL PROFESSORE ATEO
Il crocifisso a scuola, nelle aule in cui si tengono le lezioni, deve essere esposto oppure no? Una questione attorno alla quale si dibatte ormai da tempo immemore e che, di tanto in tanto, torna in auge. Oggi, martedì 6 luglio 2021, è atteso un nuovo verdetto in merito a tale questione e a pronunciarsi sarà la Cassazione, che dirà se sia giusto appendere al muro il crocifisso nelle classi di un Paese di religione prevalentemente cattolica oppure se, nel rispetto della multietnicità delle classi scolastiche, sia più corretto rimuoverlo, in quanto potrebbe essere fonte di turbamento per i fedeli di altre religioni, studenti o professori che siano.
Nei giorni scorsi, sulle colonne de “Il Giornale” è intervenuto sulla questione il professor Filippo Vari, vicepresidente del Livatino e professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università europea di Roma, il quale ha contribuito a ricostruire la vicenda che ha condotto a questo bivio, con la Cassazione chiamata in causa da un docente vicino alla Unione Atei Agnostici Razionalisti, il quale ha iniziato a rimuovere durante le prime fasi delle sue lezioni il crocifisso dal muro contro la volontà espressa dagli studenti e contro un provvedimento del dirigente scolastico che chiedeva di rispettare tale volontà.
CROCIFISSO A SCUOLA: ATTESA PER IL VERDETTO DELLA CASSAZIONE
Come si legge nel prosieguo della narrazione su “Il Giornale”, la mancata osservanza del provvedimento ha fatto sì che il professore in questione venisse sospeso per trenta giorni dalle sue funzioni, vedendosi cancellare anche un mese di stipendio. Tuttavia, il diretto interessato non accetta questa scelta e sceglie di ricorrere, perdendo però tanto in primo grado quanto in Appello. Nonostante le due sconfitte giudiziarie, il prof non si è arreso e ha chiamato in causa la Cassazione che, a detta del professor Vari, se desse ragione all’uomo “finirebbe per affermare che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche dà vita a una discriminazione nel mondo del lavoro a carico dei non credenti, vietata dalla normativa antidiscriminatoria in vigore”
Il costituzionalista ha quindi chiosato dicendo che di fronte a una decisione delle Sezioni Unite della Cassazione, si aprirebbe un dibattito pubblico sulle ragioni o sulla opportunità della esposizione dei simboli religiosi nelle scuole, nei tribunali e nei locali pubblici, in quanto “non è pensabile che su questi temi la parola definitiva sia quella del giudice, per quanto autorevolissima”.