La recente visita del presidente Mattarella in Francia consente un esercizio di comprensione della politica mondiale quanto mai istruttivo. Vediamo.
Nel mese di agosto la fregata tedesca Bayern si affiancherà alla nuova portaerei britannica Queen Elizabeth, alla portaelicotteri d’assalto anfibio francese Tonnerre e alla fregata olandese Eversten in una missione di alto significato geostrategico: sfileranno nell’Indo-Pacifico e si divideranno per breve tempo solo quando la fregata tedesca si fermerà a Shangai, quasi cercando un’acquiescenza preventiva di Pechino, mentre le altre navi eviteranno certo lo stretto di Taiwan, ma non potranno non rendere esplicito, da un lato, il distacco tattico e, dall’altro, una condivisione con gli Usa di un atteggiamento verso la Cina che sia insieme tanto antagonistico quanto competitivo.
Il significato della recente visita di Mattarella in Francia consiste nella ripresa del lavorio diplomatico per concludere il Trattato italo-francese dopo gli incidenti provocati tempo or sono dalla sfilata urlante dell’attuale ministro degli Esteri Italiano sui boulevard parigini che indussero al ritiro dell’ambasciatore francese in Italia. Ma il tutto va inserito nella visita di Biden in Europa e nella più approfondita serie di relazioni paneuropee del nuovo segretario di Stato Usa, che possiede una solida formazione francese e cosmopolita di alto livello. Un cambio di stile che è profondo e che inizia ad avere le sue conseguenze inevitabili. Inevitabili se si vuole evitare la trappola di Tucidide, ossia la guerra dinanzi all’aggressività revisionistica sempre più disperata di Pechino, che si accende di tinte neo maoiste che precedono lo scontro finale di Xi Jinping con l’ala dengsiaopinghiana della nomenclatura capitalistica di stato comunista.
Come ha scritto recentemente uno dei più attenti osservatori della politica di potenza mondiale, l’olandese Luuk van Middelaar, quelle manovre sono un messaggio forte per Biden, che può riassumersi nella domanda: “Gli Stati europei si stringono attorno agli Usa nella Nato, ma gli Usa sono disposti a proteggere quegli stessi Stati dall’aggressività russa, frutto dell’isolamento a cui è stata costretta la Russia a differenza di quanto è accaduto con la Cina?”.
Questa è la partita in gioco: è l’ora della fine delle perplessità dinanzi al ritorno di un atlantismo consapevole a guida Usa. E la centralizzazione capitalistica in economia che l’Europa deve intraprendere superando la divisione tra frugali e non frugali deve essere abbandonata, così come deve essere abbandonata ogni politica di isolazionismo militare che non comprenda nella sua strategia il distacco da ricercarsi della Russia dalla Cina, invertendo la pericolosa tendenza in corso da troppi anni e che ora rischia di mettere a repentaglio lo stesso dominio capitalistico tanto in Asia quanto in Africa.
Non solo le armi devono farsi sentire, naturalmente. L’unico vero contenimento della Cina risiede nello sviluppo asiatico, ossia nella crescita attorno alla Cina di nazioni non dipendenti da essa per e nella crescita. Così come in Africa non può più essere affidata alla sola Francia la lotta armata contro l’Isis. Macron è stato chiarissimo su questo punto, ritirando le truppe dal Sahel e chiedendo a gran voce una forza europea di contrasto in Centro Africa e nel Corno d’Africa. La base cinese di Gibuti deve essere isolata, mentre la guerra contro i califfati deve essere continuata.
Ma solo gli Usa possono dare forma a un disegno neoimperiale condiviso di questa ampiezza. Tutto ciò che compone l’architrave del rapporto geopolitico mondiale risiede ancora nella relazione tra gli Usa e le potenze europee, ma deve quanto prima ampliarsi all’arco indo-pacifico, seguendo l’alleanza consolidatasi tra Usa, India, Australia e gli Stati asiatici come il Vietnam, ossia impegnati nel contenimento cinese, con sullo sfondo l’enigma giapponese.
Anche lo sfondo del quadro di queste Meninas (ricordate il quadro di Velázquez?) che si disegnano dinanzi a noi nel gioco di potenza mondiale ha un punto di caduta ancora ignoto: lo stato delle relazioni di potenza europeo. Di qui la strategicità delle relazioni tra Italia e Francia: esse sono cruciali non solo in sé, ma altresì per il fatto che devono spingere alla cooperazione atlantica la potenza tedesca. Cosa c’entrano le Meninas? Ebbene, ricordate che in quel quadro s’intravede sulla sfondo (non si sa se appaia sulla porta per entrare oppure per lasciare la scena, salire le scale e uscire dalla tela), il ciambellano della regina e capo dei lavori su arazzi della corte, un parente del grande pittore, José Nieto Velázquez? La sua apparizione così sospesa e misteriosa riempie di interrogativi la scena figurativa e simbolica del quadro. La stessa cosa sta accadendo in Europa oggi, quando la caduta della Merkel ormai non può più essere fermata da nulla e il declino di Macron è prossimo.
L’Italia, con il suo sgretolarsi dei partiti, rischia di indebolire paurosamente l’ascesa di Mario Draghi. Per questo la Francia è richiamata dagli Usa ai suoi doveri storici: quelli di sostituire con il suo spirito di conquista la volontà di divenire Regno della monarchia piemontese, volontà che generò l’annessione degli antichi Stati italiani al concerto di potenza europeo grazie all’alleanza e alla vittoria sul campo delle armi francesi e italiane, impegnate poi su fronti opposti nell’ultimo respiro del potere temporale della Santa Madre Chiesa (anche qui ricordo i fondamentali scritti di Benjamin Constant raccolti in Dello spirito di conquista e dell’usurpazione nei loro rapporti con la civiltà europea, editi e redatti ad Hannover nel 1813 ma attualissimi). Ora i tempi sono cambiati, certo, ma l’ora della raccolta delle truppe sul campo è di nuovo suonata come nel 1848 e nel 1859 e si inizia con il prossimo Trattato italo-francese con il mettere in fila quello che è storicamente più disponibile e forse da tempo di nuovo inevitabile per unire le forze contro l’aggressione imperialistica cinese. Risorgimento docet.
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