Non posso, e penso non si possa, che condividere “Il Caffè” di Massimo Gramellini sul Corriere di ieri dedicato ad Alessandro Ghiani, cinquantenne portapizze cagliaritano preso a manate e mazzate da un gruppo di ragazzi brilli e festanti per la vittoria dell’Italia sulla Spagna agli europei. Squadra peraltro allenata da quel Luis Enrique che al termine della partita ha dato a tutti, ma non evidentemente a quei teppisti, una grande e purtroppo rara – anche nel mondo dello sport in cui invece dovrebbe essere di casa – lezione di umanità e, appunto, di sportività.
A proposito dell’aggressione al povero Ghiani, Gramellini ad un certo punto propone un paragone tra il comportamento di quei ragazzi cagliaritani e i loro coetanei del passato. E giustamente afferma come non si debba pensare “che un adolescente brillo del 2021 sia molto peggiore di uno del 1991 o del 1961. Ma mi sembra di ricordare che il lavoro godesse allora di una certa sacralità. Si provava una soggezione istintiva davanti a una persona con i calli alle mani o piegata sotto il peso di un dovere. Il lavoro era ancora centrale nella vita e nella considerazione di molti”.
E poiché l’età permette anche a me di poter fare un raffronto del genere, non posso che confermare le parole del giornalista del Corriere. Sarebbe davvero impensabile immaginare che in un passato anche più lontano rispetto ai primi anni 60, degli adolescenti ubriachi potessero sfogare la loro euforia prendendosela con un qualsiasi lavoratore che si fosse trovato sulla loro stessa strada o piazza. Allora il lavoro, soprattutto se manuale, e chi lo faceva, godevano di una sacralità forse pari a quella di una persona di chiesa o di un qualsiasi anziano. Purtroppo quasi quotidianamente la cronaca, nera, ci conferma che da tempo le cose vanno diversamente e che i lavori, soprattutto se richiedono grande fatica, sono considerati degni di persone “sfigate” e fallite. Perciò degne di ludibrio e di “punizioni” che vanno, come accaduto a Cagliari, addirittura ben oltre lo stesso vitellonesco e fin troppo umiliante sberleffo.
Ovviamente c’è da chiedersi, e lo dobbiamo assolutamente fare, come mai si sia giunti a tanto e come mai i lavori che richiedono, per poterli svolgere, impegni talvolta fin troppo disumani, rappresentino agli occhi di molti, purtroppo non solo dei ragazzi, una sorta di condanna sociale che può addirittura diventare disprezzo. Un tempo un Alessandro Ghiani qualsiasi avrebbe ricevuto sicuramente stima e ammirazione per la sua determinazione a non crollare rispetto alle difficoltà della vita, accettando come lui ha fatto o è stato costretto a fare, un lavoro durissimo per la sua età. Difficoltà che possono portare, come nel caso del rider cagliaritano, a svolgere a cinquant’anni un lavoro molto più consono, come spesso accade, per dei giovani che intanto lavorando si preparano a maturare altre scelte e altro futuro.
A spiegare questo feroce disprezzo nei suoi confronti, non bastano i riferimenti “culturali” a cui molti ragazzi guardano da tempo (successo, soldi, vita comoda, attese fin troppo arrendevoli che altri risolvano i loro problemi, eccetera). Riferimenti culturali e “valori” che la nostra società non ha alcun ritegno a elargire loro attraverso mille canali e altrettanti modelli che, a dire il vero, di umano hanno ben poco.
Occorre invece chiedersi come mai si è permesso che tutto questo accadesse e perché chi ha in mano il destino dei giovani non li abbia da tempo messi di fronte alle loro responsabilità e ai veri problemi della vita. Anche nelle scuole si parla poco di lavoro e ancora meno lo si prepara. Un lavoro che, qualunque esso sia, deve godere del rispetto legale e sociale perché è innanzitutto attraverso il lavoro – qualunque lavoro – che si contribuisce a dare dignità a noi stessi, alle nostre famiglie e al nostro Paese. Non a caso la nostra Costituzione lo annovera come il cardine stesso del nostro poter vivere con dignità e responsabilità.
Principi, questi, che gli adolescenti cagliaritani hanno calpestato. Purtroppo non sono i soli a farlo e sarebbe l’ora che scuole, famiglie, politici e chiunque abbia un ruolo sociale e culturale nella nostra società, cominciasse a chiedersi se non fosse arrivato il momento di impegnarsi tutti quanti per mettere al primo posto della loro, della nostra, missione educativa il valore e il rispetto della dignità umana, soprattutto quando la si persegue lavorando. Perché ogni lavoro, se ben fatto, è sempre il frutto di un uomo ben fatto. Proprio come Alessandro Ghiani. E su questo, almeno su questo, non si deve transigere.