«Mamme e papà devono essere innanzi tutto testimoni convinti e capaci di motivare i ragazzi. Per primi devono dimostrare che è bello parlare e stare con Gesù»: a dirlo è lo psicologo e psicoterapeuta Ezio Aceti, esperto di educazione e psicologia infantile e adolescenziale. Lo scrive nel libro “Educazione alla fede”, pubblicato con ampi stralci ieri sull’Avvenire, inserito come primo testo di una collana di volumi sui temi familiari promossa dall’Ufficio Famiglia Cei con l’editrice San Paolo.
È possibile ancora oggi poter parlare di educazione alla fede cristiana? È possibile farlo senza “imporre”, anche se per buoni scopi, il proprio “dogma” religioso sui figli? E soprattutto, come poter comunicare la bellezza e l’urgenza della fede nel mondo più secolarizzato che mai? Secondo l’esperto Aceti, il credente sempre se è credibile trasmette con la sua stessa vita la fede, senza bisogno di particolari “strategie”: «Ma anche dei bravi genitori trasmettono ai figli, con il loro esempio, la bontà di loro stessi. Però i genitori informano anche i figli sulle conoscenze utili per vivere e per affrontare le diverse attività dell’esistenza».
L’EDUCAZIONE ALLA BELLEZZA
Ecco perché per divenire genitori cristiani “credibili” non serve altro che questo: comunicare le verità di fede e la vita di Cristo con la propria stessa esperienza di mamma e papà. «La fede ha bisogno di un ambito in cui si possa testimoniare e comunicare e che questo sia corrispondente e proporzionato a ciò che si comunica. Per trasmettere un contenuto meramente dottrinale, un’idea, forse basterebbe un libro e la ripetizione di un messaggio orale. Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua Tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro, nel suo cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività, aprendola a relazioni vive nella comunione con Dio e con gli altri», lo dice Papa Francesco, citato in ampie parti nel libro da Ezio Aceti.
È possibile comunicare la fede ai propri figli, è possibile parlare e dire quanto sia bello l’esperienza di Gesù ma per farlo, sottolinea il volume dell’esperto, occorre prima che i ragazzi si sentano «compresi e amati». E questo è realizzabile solo con il “decentramento” attuato da adulti e catechisti (per potersi meglio immedesimare in loro con le loro domande), la semplificazione nei termini e l’affidamento stesso a Gesù : «se è vero che Gesù desidera aiutarci in tutto, e guidarci, è però altrettanto vero che è sempre necessaria la nostra adesione o la nostra richiesta, proprio per il rispetto che Lui ha della nostra libertà. Questa dimensione è bellissima perché mantiene vivo il rapporto fra l’educatore e Gesù». Infine, è importante secondo Aceti «far sperimentare il vivere la parola del Vangelo, che è parola di vita e dà senso all’esistenza. La trasmissione della fede ai figli e la catechesi o diventano vita o non sono»: anche se variano a seconda delle età le esperienze, è pur vero che il risultato “incarnato” dal genitore-testimone è il medesimo del giovane figlio, «imparare la gioia di stare con Gesù».