Tra poco più di quindici giorni, il 3 agosto per l’esattezza, si entrerà nel cosiddetto semestre bianco, il periodo durante il quale il capo dello Stato non può sciogliere il parlamento e quest’ultimo si prepara a eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Se oggi, tra le forze politiche di questa “repubblica senza numero” c’è una tendenza a dividersi, a “polarizzare le questioni” come dicono ormai gli intelligenti, assisteremo a una spettacolo continuo poco edificante, con il risultato che si formeranno maggioranze variabili e alla fine, sui casi più importanti, deciderà, fortunatamente, Mario Draghi, ma con un Parlamento in pieno delirio e con un ruolo quasi marginale.
Va pure considerata la stessa “variante Draghi” in una possibile elezione al Quirinale tra sei mesi. Un problema non secondario anche per le manovre di successione a Sergio Mattarella e alle probabili e spregiudicate operazioni di alleanze imprevedibili.
Ma il contesto di agosto e dei prossimi mesi (mettiamoci pure dentro le consultazioni in tanti grandi comuni ad autunno) non è certamente fatto solo di questo. Al di sopra di tutto questo quadro concitato c’ è sempre la crisi economica, una depressione mondiale, dovuta alla pandemia che ha attanagliato il mondo per un anno e mezzo.
Per l’Italia il conto è grave: le famiglie in povertà sono più di due milioni e riguardano complessivamente 5 milioni e 200mila persone. C’è un ultimo sondaggio che spiega la rinuncia alla ferie del 51 per cento degli italiani per quest’anno, per motivi esclusivamente economici.
Tutto questo è frutto della lenta falcidia dei posti di lavoro, la disoccupazione che potrebbe raggiungere livelli molto alti, mentre è già altissima tra le donne e i giovani. C’è chi calcola al momento quasi un milione di senza lavoro, ma c’è anche chi prevede una drammatica moltiplicazione per tre. E di certo lo spettro di una “bomba sociale”, di cui spesso parlano i sindacati, si può collegare, proprio in questi giorni, alla chiusura e al trasferimento di alcune aziende italiane in altri paesi europei, dove si gode di una agevolazione fiscale che è diventata ormai intollerabile e vergognosa.
Tuttavia a questo panorama problematico si può contrapporre anche una prima risposta che Draghi e il suo incredibile governo è riuscito a dare. Al posto di convocare gli “stati generali”, Mario Draghi ha predisposto un “Piano nazionale di ripresa e resilienza” che è stato apprezzato in Europa. Sempre Draghi sembra oggi la personalità di maggior spicco in tutta l’Unione Europea e lo statista che può portare fuori l’Italia dalla crisi. Non solo per i miliardi che arriveranno dall’Ue, ma per la capacità di impiegarli e di spenderli, di investirli, senza disperdersi in questioni contraddittorie al limite dell’assurdità.
E non c’è dubbio che il presidente del Consiglio sia in grado di sfruttare l’inevitabile “rimbalzo” del Pil, che è previsto con la ripresa dei consumi, con maggiori riaperture e con una maggiore fiducia per i risultati ottenuti sinora contro la pandemia di Covid-19, anche se le insidie delle varianti possono sempre riservare amare sorprese nonostante l’uso dei vaccini.
Considerati questi aspetti, si può affermare che l’Italia se la può giocare, può riprendersi, usando saggezza e una solidarietà sostanziale che non sia troppo fittizia, investendo soprattutto nei grandi cambiamenti che riguarderanno l’economia e di conseguenza la muova organizzazione del lavoro.
Ma è bene essere chiari fino in fondo. l’Italia ha riguadagnato prestigio nell’Ue, può riguadagnare persino una posizione geopolitica importante nel Mediterraneo e nei rapporti con l’Africa e il Medio Oriente. Ma detto e riconosciuto questo, dopo esserci dimenticati la parola “spread”, che ci ha inseguito per anni, l’Italia deve fare oggi i conti, come suggerisce Sabino Cassese, con tre emergenze che sono una grande fonte di preoccupazione per uno Stato che è, di fatto, un protagonista della politica e dell’economia mondiale ed europea. Sono queste tre emergenze che appesantiscono la possibile ripresa italiana.
La prima emergenza è certamente legata all’organizzazione sanitaria. L’Italia ha eccellenze ospedaliere che hanno, negli anni, trascurato l’assistenza di territorio e questo, durante la pandemia, il Paese lo ha pagato. È vero che ci sono scusanti, perché il virus era sconosciuto e ha investito subito l’Italia. Ma nel conto bisogna pure metterci le “imprese” del commissario Domenico Arcuri, tra mascherine squinternate e banchi a rotelle; bisogna ricordare la scomparsa dalla scena di Ranieri Guerra, con le sue complicate dichiarazioni sull’aggiornamento del piano contro la pandemia; occorre forse dimenticarsi le contraddittorie dichiarazioni sui vaccini; le prolusioni e gli atteggiamenti a vanvera dei politici di ogni tendenza, che oscillavano tra “abbracci ai cinesi” e lotta alle mascherine “perché siamo di fronte a un’influenza”.
Possiamo dire che accanto al tragico numero dei morti, si deve aggiungere la catastrofe di una comunicazione a più voci contrastanti, che ha seminato il panico e la confusione in tutto il Paese e infine una sorta di diffidenza verso i vaccini che rievoca il medioevo.
Infine, pur di fronte al dettato costituzionale (art. 117 lettera q) lo spettacolo delle regioni che andavano ognuna per conto proprio, ottenendo, a turno, risultati altalenanti, quasi piccoli Stati in un grande Stato.
Di fatto, ancora oggi siamo di fronte a diffidenza sui vaccini, a persone che disertano appuntamenti e si rendono irreperibili, a un personale scolastico che è in grandissima parte non vaccinato e addirittura a operatori sanitari che si sono sottratti alla vaccinazione sfidando pure la sospensione dal lavoro e dallo stipendio.
Ultima, quasi demenziale battaglia, quella dell’uso del green pass, dove alcuni scomodano libertà costituzionali violate e altri si oppongono, in modo poco convincente, arrivando a dibattiti al limite dell’assurdità. Unica cosa chiara di questa organizzazione della sanità è la mancanza del buon senso e della chiarezza: perché i verbali del Comitato tecnico-scientifico vengono conosciuti dopo 45 giorni? Boh!
Seconda emergenza. Quella scolastica. In questi giorni i risultati dei test Invalsi hanno certificato il grave ritardo nell’apprendimento da parte dei nostri studenti a causa della pandemia. In una dichiarazione riportata da un titolo di giornale si specifica che “Alla maturità metà degli studenti ne sa come in terza media”.
C’è chi sostiene che uno studente su due non ha competenze sufficienti in matematica e in italiano. A questo occorre aggiungere i mali già congeniti della scuola, quelli che esistevano prima della pandemia. La cosiddetta Dad, l’insegnamento a distanza, è messo sul banco di accusa, ma c’è anche chi fa giustamente notare che sono quasi venticinque anni che la politica, con i suoi vari esperti, non si è più occupata della formazione scolastica e ora paga un prezzo salatissimo aggravato dalla pandemia.
In un simile quadro scolastico, oltre alla dispersione, agli abbandoni ormai endemici, occorre aggiungere una più grande disuguaglianza tra studenti che appartengono a famiglie abbienti rispetto a quelli che non potevano neppure usufruire della Dad. Insomma un disastro, a cui si deve immediatamente pensare e un problema gravissimo da risolvere per l’immediato futuro.
Terza emergenza, la drammatica situazione della giustizia italiana.
Lasciamo perdere gli ultimi fatti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, gli ultimi interventi di pm in cerca di notorietà. La giustizia italiana è letteralmente crollata nella sua credibilità a livelli impensabili. Almeno tre quarti degli italiani non ritiene più credibile questa giustizia, I tempi dei “falsi eroi” di Tangentopoli sono veramente finiti.
Non sarà una partita facile quella di Mario Draghi e del guardasigilli Marta Cartabia di impostare una riforma che non si basi sull’invadenza (unica nel mondo occidentale) del pm, che faccia un abuso sconsiderato della carcerazione preventiva, che ha una lunghezza processuale che batte ogni record mondiale.
Ma uno Stato come l’Italia, una volta battuta la pandemia e risolta la sua crisi economica, può presentarsi con una sanità, una scuola e una giustizia di questo tipo?
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