Facile dire obbligo vaccinale. Basta richiamare l’articolo 32 della Costituzione, invocare il primato dell’interesse collettivo sulle scelte individuali e fare una legge che mette fine a ogni discussione: cari insegnanti refrattari e antivaccinisti d’ogni specie, adesso tocca a voi. Ma le cose, in realtà, sono un po’ più complicate. Altri sono più cauti, forse anche più furbi, e difendono la strategia del green pass adottata da Macron. Cosa farà il governo Draghi? Una strada porta diritto alle cause e ai risarcimenti. Troppo rischiosa. Meglio affidarsi all’altra, quella – non meno pericolosa per l’interesse collettivo – del “paternalismo libertario”. Ne abbiamo parlato con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano.
Professore, Cassese e Flick dicono che si può disporre anche con decreto legge l’obbligo vaccinale. Che ne pensa?
Che gli obblighi vaccinali possano essere disposti con legge lo dice chiaramente l’art. 32 Cost. quando pone accanto al diritto alla salute anche l’interesse della collettività. Così come l’art. 16 dice chiaramente che la circolazione delle persone può essere limitata per ragioni di sanità e sicurezza. È evidente che c’è un interesse pubblico da tutelare. E queste cose sono state ribadite, di recente, anche nella sentenza Cartabia del 2018 che ha confermato i 10 vaccini del decreto Lorenzin.
Un caso accompagnato da un acceso dibattito. Perché lo cita?
Nel 2017 si verifica un’epidemia di morbillo di gravità infinitamente minore rispetto alla pandemia di Covid: 4.885 casi e 4 morti. Il Governo interviene con un decreto legge, convertito in legge dal Parlamento.
Giusto o sbagliato?
Era giusto. Il livello di immunizzazione raccomandato dall’Oms stava scendendo, e quella piccola epidemia è stata un’importante occasione per mettere in linea il Paese con gli standard internazionali di vaccinazione. Tant’è vero che da allora la curva delle vaccinazioni è rapidamente cresciuta.
Mai farsi fuorviare dalle polemiche, dunque.
Però le polemiche che hanno accompagnato quella vicenda si trascinano ancora adesso e il Covid le ha riproposte all’ennesima potenza. Del resto è comprensibile: 10 vaccinazioni obbligatorie per i minori di 16 anni non sono poca cosa.
Riprendiamo il filo.
Il rischio vaccinale c’è sempre in tutti i vaccini. E non è un fatto dell’oggi. È dal 1992 che in Italia è in vigore la legge 210/1992, che prevede un fondo di risarcimento per le vittime dei danni da vaccinazione, emotrasfusione, e persino, pensi un po’, per i danni da talidomide. Quel fondo viene rifinanziato ogni anno votando quella che adesso si chiama Legge di Stabilità.
Insomma, c’è sempre una posta nel bilancio statale per il risarcimento dei danni da vaccino.
Le dirò di più: a rigore, i fondi rifinanziati sono tre. Sul sito del ministero trova i moduli, anche per i danni da talidomide. Sa cosa sono i danni da talidomide?
È così importante? La seguo, ma siamo partiti dall’obbligo vaccinale.
Vedrà che ci torniamo presto. Quella del talidomide è una vecchia infelice vicenda degli anni 50, relativa ad un farmaco antinausea che generava malformazioni del feto, e ritirato, se ben ricordo, all’inizio degli anni 60. È una cosa che si studiava al secondo anno di giurisprudenza a proposito del nesso tra fatto illecito e danno. Un vecchio maestro della Cattolica come Federico Stella è andato in cattedra studiando il problema del talidomide: o perlomeno così voleva far credere a noi studenti. Non era facile dimostrare il nesso causale tra assunzione di talidomide e malformazioni del feto, a quei tempi.
Assunzione di talidomide e malformazioni del feto. Vaccini anti-Covid ed “eventi avversi”, dalle paralisi facciali alle trombosi. Di questo stiamo parlando?
Vede che i problemi, in diritto, sono sempre gli stessi? Era un problema di causalità da spiegare secondo leggi scientifiche. La scienza è sempre una frontiera. E non è facile, per un giudice, muoversi in territori di frontiera con una forte pressione di interessi: danneggiati da una parte e produttori di farmaci dall’altra, per capirci.
E i vaccini?
Beh, anche per i vaccini si pone lo stesso problema. È acclarato che lo stesso vaccino può produrre effetti diversi in organismi diversi. È ovvio: il vaccino è sempre lo stesso, ma non tutti sono uguali. Le sperimentazioni servono a misurare questo rischio.
Vuol dire che a fronte di un vantaggio per la collettività, ci sarà sempre qualcuno con un danno vaccinale?
Purtroppo sì. È l’altro lato della medaglia. Tant’è vero che da vent’anni c’è un’apposita legge per indennizzare chi abbia riportato qualche danno, a medio o a lungo termine. A questo fa riferimento l’art. 32 Cost.: al fatto che qualcuno abbia dei danni nell’interesse generale. Ed è giusto che sia compensato dallo Stato. Nessuno mette in discussione queste cose.
Quindi non c’è nessun problema nell’obbligo vaccinale dopo la sentenza Cartabia?
Beh, sì e no.
In che senso?
Nel senso che non c’è dubbio che con legge si possa disporre una vaccinazione obbligatoria. È solo con legge che si può incidere sul corpo della persona. È una questione di libertà personale, non di diritto alla salute.
Vale a dire?
Significa che gli atti di disposizione del corpo da parte del potere pubblico – come è il caso degli arresti, della detenzione, o dei Tso – non riguardano la salute ma la libertà personale. È un art.13, non un 16, come lo è la libertà di circolazione. È disponibilità del proprio corpo e libertà dagli arresti.
Ha detto libertà dagli arresti?
Sì. Arresti in senso proprio, non situazioni equivalenti agli arresti domiciliari, come si è detto a sproposito in tempi di lockdown. Una vaccinazione obbligatoria equivale – se mi passa il termine – ad un arresto o ad un Tso psichiatrico. Veda il caso dello studente che non voleva indossare la mascherina.
E allora?
Il punto è che il caso del decreto Lorenzin riguardava vaccini in circolazione da tempo e ampiamente sperimentati. E che avevano avuto un’autorizzazione al commercio di tipo standard. Con i vaccini Covid non ci troviamo nella stessa situazione. E questo può creare problemi.
Cioè?
I vaccini Covid, nessuno escluso, sono stati autorizzati dall’Ema con una procedura speciale detta “autorizzazione condizionata”. È una procedura abbreviata che non fornisce le stesse certezze dall’autorizzazione standard. Ed è ovvio che sia così. Un vaccino per essere commercializzato – stante quei profili di rischio inevitabili – richiede anni: si dice dai 10 ai 15.
È chiaro che nella pandemia non si poteva aspettare tanto.
Appunto. Da qui la scelta: o non fai nulla o acceleri e commercializzi i vaccini sotto condizione. È una specie di procedimento abbreviato, sottoposto a verifiche in corso d’opera. Le condizioni sono che a) non siano disponibili terapie alternative o equivalenti; b) che il rischio per la salute pubblica della messa in circolazione sia inferiore al rischio della non messa in circolazione; c) che il produttore continui a trasmettere dati all’Ema per la valutazione degli effetti; d) che su base statistica provvisoria gli effetti benefici siano superiori agli effetti collaterali. Dura un anno e può essere reiterata dopo valutazione.
Dunque, un conto è rendere obbligatorio un vaccino approvato con procedure ordinarie. Ma qui siamo di fronte a vaccini approvati con autorizzazioni provvisorie e a termine.
Infatti. E questo influisce sulla questione dell’obbligo vaccinale. Vede, è dal 2002 che la Corte costituzionale ha affermato che il legislatore, in materia sanitaria, non è libero di scrivere in una legge quello che vuole – di imporre, insomma, di curare un osso rotto con il metadone – ma è vincolato dalle risultanze tecnico-scientifiche di settore. Così come è tenuto all’esigenza di rispettare l’integrità fisica e psichica della persona. Era la sentenza Onida sull’elettroshock in Emilia-Romagna. Una sentenza giustamente richiamata nel 2018 sugli obblighi vaccinali.
Ma allora manca il precedente! Questo cosa cambia ai fini di quello che stiamo dicendo?
Beh, direi che se il precedente è quello del 2018, per imporre un obbligo vaccinale generalizzato si dovrebbe almeno aspettare il passaggio dall’autorizzazione condizionata all’autorizzazione standard, per usare il linguaggio dell’Ema. Altrimenti si rischia di imporre un obbligo fondato su basi scientifiche incomplete e provvisorie. Con tutto quel che ne verrebbe in termini di responsabilità e di indennizzi. Oltre che di credibilità di chi introducesse tale obbligo.
Credo di capire. Ci spieghi meglio.
È evidente che non succederà, ma lei si immagina le richieste di risarcimento conseguenti a danni vaccinali a seguito di una somministrazione obbligatoria fondata su un’autorizzazione provvisoria? Certo, si può imporre il vaccino con un decreto legge, che sarebbe subito convertito dal Parlamento. Si può immaginare di portare in Corte costituzionale una legge del genere. I parlamentari hanno immunità giuridica per i voti dati e le opinioni espresse. Le stesse garanzie si applicano ai giudici della Corte. Ma i ministri sono giuridicamente responsabili per gli atti di loro competenza, individualmente e in Consiglio dei ministri.
Se il danno vaccinale è risarcibile solo con i vaccini ordinariamente approvati, il governo ci penserà tre volte prima di fare un decreto legge con cui rende la vaccinazione obbligatoria.
Beh, in questo contesto tutto è possibile. Ma, ragionando con le logiche del passato, diciamo che sarebbe una scelta molto “coraggiosa”. Non è un caso che in questa situazione le case produttrici abbiano chiesto ed ottenuto uno scudo penale, ed analoghe richieste siano state avanzate dal personale medico che procede alla somministrazione. Sembra plausibile ritenere che ci vorrebbe uno scudo penale anche per i ministri che approvano il decreto. Ma c’è anche un altro punto.
Quale?
Quello per cui si può anche imporre un obbligo giuridico, ma poi c’è il problema della compliance all’imposizione di un obbligo generalizzato, che produrrebbe un irrigidimento diffuso. Non si può vaccinare a forza milioni di persone. Ci vogliono misure diverse dalla forza o dalle sanzioni amministrative o penali.
C’è un’altra strada. Non quella dell’obbligatorietà per legge, ma quella imboccata da Macron del green pass come requisito per poter essere più liberi. Che ne pensa?
È la conseguenza di quello che le dicevo. Gli effetti di governo che si ricercano non possono essere ottenuti con gli strumenti normali. Postulano un’adesione volontaria. L’uso della forza ha sempre bisogno di una base di consenso costruito su un’etica condivisa. Altrimenti la forza da sola genera ribellioni. La scelta va costruita. E allora si deve porre la scelta tra l’adeguarsi all’effetto ricercato o subire delle compressioni del proprio stile di vita. E cioè delle proprie libertà: dalla circolazione alla riunione, fino a toccare indirettamente il diritto al lavoro. Mi pare che il governatore della Liguria questa cosa le abbia detta solo due o tre giorni fa, senza generare nessuna sorpresa. In alternativa devi procedere per categorie, come appunto si sta ipotizzando.
Da dove arriva questa concezione?
È la “spinta gentile” (nudge) teorizzata da anni negli Usa da strani costituzionalisti come Cass Sunstein, che si fonda sul comportamentismo sociale. E sul principio per cui non ti impongo di fare una cosa, ma ti induco a volerla con la minaccia latente di importela. Anche gli economisti conoscono queste cose, però da un’altra angolazione, che dal marketing è passata alle scienze sociali. R. Thaler ci ha vinto un Nobel nel 2017 con l’economia comportamentale, che poi è marketing sociale.
Un esempio?
In un supermercato – ci dice Thaler – metto sott’occhio le cose più care e su cui ho più margine, mentre lo zucchero posso anche nasconderlo, perché ho poco margine e tanto lo vendo lo stesso. In questo modo influenzo il consumatore e alzo i profitti. È una tecnica.
Se è così, perché non usarla per indurre scelte “virtuose” a livello sociale?
Infatti. Se applica questo discorso alla politica – come è stato fatto – lei capisce che in questo modo si cambia la mentalità, e quindi si cambiano i comportamenti, senza cambiare le leggi. È una cosa vecchissima, che una volta si chiamava opinio iuris e adesso “coscienza sociale”. Cambi la coscienza sociale e hai cambiato la Costituzione senza scrivere una riga, ma in modo progressivo e incrementale. Questo spiega molto della degenerazione del dibattito pubblico e la sua riduzione a una serie di slogan, che non sono diversi dai vecchi slogan commerciali, proposti da personaggi ricorrenti.
Il green pass serve a questo.
Il green pass è una tecnica di governo. E neanche tanto nuova: di nuovo ha solo il nome. Del resto non è un caso che – giustamente – la Corte costituzionale abbia equiparato in due occasioni le campagne vaccinali alle vaccinazioni obbligatorie, estendendo l’obbligo di indennizzo delle prime anche alle seconde. E che la seconda sia stata pubblicata nel giugno del 2020, in piena emergenza pandemica, con riferimento alle vaccinazioni da epatite A. Per la Corte le campagne vaccinali sono equivalenti all’obbligo.
A proposito del green pass, qualcuno ha detto che “non stiamo parlando di un obbligo ma di un onere o un requisito per svolgere una determinata attività”: “del resto, un tempo, chi lavorava nei pubblici esercizi, bar o ristoranti, doveva avere un certificato sanitario per dimostrare di essere esente dalla tubercolosi quando questa malattia era fortemente diffusa e infettiva”. Dove sta il problema?
E infatti, propriamente parlando, il problema non c’è. Il punto è che questa tecnica di governo – che Sunstein chiama “paternalismo libertario”, e che sta alla base di molte politiche pubbliche degli ultimi anni – restaura una cosa già vista, nemmeno troppo tempo fa. E cioè il sistema delle libertà autorizzate.
Che cosa vuol dire?
Significa che sulla carta hai la libertà di fare questo e quello, ma solo dopo che ti è stato rimosso un vincolo apposto in via generale dalla legge. Sei titolare di un diritto, ma non ne hai l’esercizio. Per esercitarlo hai bisogno di un’autorizzazione. E lei capisce che questa, se prendesse piede, sarebbe una trasformazione radicale, però perfettamente legale. Le costituzioni non cambiano solo con le revisioni costituzionali.
E allora avevano ragione un anno fa a contestare i Dpcm?
No, i Dpcm, a parte il primo, erano tutti in linea con lo stato di emergenza e con la sua reiterazione, nonostante alcuni (Cassese, ndr) se ne lamentassero. E l’ho sostenuto in diverse occasioni. Il problema degli stati d’eccezione non è che esistano. Le rotture della regolarità sociale non si possono evitare. I problemi degli stati d’eccezione sono altri: e cioè quando si chiudono, chi li chiude o ha interesse a chiuderli (o a dilatarli nel tempo), e soprattutto cosa si lasciano dietro. Perché gli stati d’eccezione si lasciano sempre dietro effetti irreversibili. È difficile “svaccinarsi”, se capisce cosa intendo dire. Come è difficile rimediare ai danni di una situazione sociale compromessa.
Ma lei si è vaccinato?
In realtà, come ha stabilito il Garante della privacy, questi sarebbero affari miei. Ed è stata una decisione meritoria. Io non le chiederei per chi ha votato. Anche se posso essere curioso, e c’è un interesse pubblico al suo voto, in Costituzione c’è scritto, non a caso, che il voto è segreto.
Non è solo un fatto di privacy.
No, infatti. Che a mettere una pezza a queste domande abbia dovuto essere l’Autorità garante, attirandosi critiche da stadio, dà la misura dell’effetto indotto dalle “spinte gentili” sulla mentalità corrente.
Lei non si è vaccinato.
Le rispondo in un altro modo.
Prego.
Non ho problemi a dirle che conservo gelosamente il certificato che mi è stato rilasciato con il numero del lotto del vaccino, il nome del medico che me l’ha somministrato, e la nota informativa del Pio Albergo Trivulzio.
Scommetto che lo ha tenuto per ricordo.
Diciamo che questa dichiarazione è una disclosure sul conflitto di interessi, come ne ho trovate nelle pubblicazioni scientifiche di molti che parlano professionalmente di vaccini. E che è sempre bene leggere. Gli avvocati in causa controllano sempre chi è il consulente del giudice.
Un’ultima domanda. Ci siamo affacciati all’art. 32 Cost. e abbiamo scoperto un mondo. Noi profani, intendo. Possibile che Cassese e Flick non sappiano queste cose?
Ma è ovvio che sì. Se le avessi dovuto rispondere in una battuta di tre righe non avrei potuto che dire anch’io le stesse cose. Lo spazio della comunicazione condiziona sempre i discorsi. Del resto, anche questa intervista è finita, no?
(Federico Ferraù)
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