Da terra di lavoro a terra di conquista. E poi di abbandono. Si possono anche riassumere così le sorti di quella fetta di provincia di Caserta che in parte coincide con la Campania Felix di una volta e che oggi si presenta con un vuoto industriale misurabile in 6 milioni di metri quadrati di aree dismesse e decine di migliaia di posti di lavoro andati perduti.
Jabil, Indesit, Ixfin, Italtel, ex Olivetti, Firema (ora indiana con Titagarh) sono i nomi più rappresentativi di quelle imprese grandi e strutturate che hanno fatto ricco un territorio che per un pezzo si è sentito in ragione di paragonarsi a una piccola Silicon Valley. Poi, d’improvviso, il tracollo con la chiusura o il trasferimento o la cessione delle attività.
Un destino forse segnato dalla fragilità di insediamenti invidiati per taglia e tipologia, ma segnati dalla circostanza di avere altrove testa e comando. E dunque esposti alla volubilità di un capitale impaziente che tratta uomini e donne alla stregua di numeri che, se non tornano, è facile cancellare dalla lavagna degli investimenti. Della serie: è il mercato, bellezza.
Certo, c’è stata la complicità di classi dirigenti che non hanno saputo leggere le nuove mappe della competizione globale e hanno creduto di poter andare avanti con schemi che si annunciavano ogni giorno più vecchi. La difesa di quello che si andava perdendo è stata più forte della capacità di reazione, che infatti non c’è stata o si è limitata al mero rivendicazionismo.
Una storia che si è purtroppo ripetuta in altre parti d’Italia rallentando la corsa di chi invece che attardarsi a rimpiangere il passato avrebbe potuto con più sollecitudine costruire il futuro. Si conferma così l’attitudine umana a soffrire più per le perdite subite che a gioire per le possibili conquiste. La conservazione di aziende decotte è sempre un intralcio alla crescita.
Così oggi ci si ritrova a rincorrere i perché di una sconfitta e, fortunatamente, anche a immaginare i motivi di una riscossa da inquadrare nella cornice del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). A rompere gli indugi sono due associazioni culturali che da tempo animano in presenza e distanza il dibattito nazionale e locale: Merita e Agorà.
Insieme hanno chiamato a raccolta sul web economisti, imprenditori, sindacalisti, manager pubblici e privati per discutere di infrastrutture per la logistica e nuove politiche industriali come esempio di un rinnovato modo d’intendere lo sviluppo. Il Governo ha fatto da sponda con la viceministra Teresa Bellanova che si è presa il tempo di ascoltare e annotare.
Poche recriminazioni da una parte, risposte informate dall’altra. Si riparte da quello che è rimasto e forse si è consolidato come il nucleo di aziende tecnologiche sorte intorno al Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira), un grande interporto e le tante start-up innovative che segnano una linea di tendenza. E un’università dinamica che porta il nome di Vanvitelli.
La terra di conquista e di abbandono vuole tornare a essere terra di lavoro. E mostrano di sapere, i protagonisti di questa vicenda, che per riuscirci devono agire con la maturità di chi prima di chiedere è disposto a dare. A rimboccarsi le maniche preparando il futuro per sé e per chi vorrà unirsi agli sforzi di una comunità che riprende il gusto di guardare avanti.
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