C’era una volta il cosiddetto approccio alla musica denominato DYT, che stava per “do it yourself”, fallo da te. Era legato all’estetica punk, del rifiuto di legarsi alle grandi coorporation delle major discografiche, di mantenere la propria indipendenza e libertà dalle loro imposizioni e logiche commerciali. Naturalmente, tutti quei gruppi e artisti che cominciavano così, ad esempio i Nirvana, una volta che cominciavano a mostrare segno di successo, finivano per firmare per una major. Nel mondo della musica ci sono tante buone intenzioni, ma il soldo fa gola anche al più fiero indipendentista.
Tale approccio, tipico degli anni 80, si trasformò ne corso degli anni 90, grazie allo sviluppo delle tecnologie, nella cosiddetta musica low-fi, letteralmente di bassa qualità, musica che si poteva registrare grazie alle nuove apparecchiature nella propria cameretta senza spendere milionate nei costosi studi di registrazione. Anche questa moda corrispondeva a una logica di indipendenza, ma purtroppo diede e ancora dà vita a una infinita serie di pubblicazioni discografiche: chiunque può farsi un disco con pochi soldi. E il mercato è stato innondato di pubblicazioni, spesso di scarsa qualità artistica perché non vagliate come un tempo da direttori artistici e produttori in grado di dire “il tuo disco fa cagare amico torna fra qualche anno”.
Ma esiste qualcuno che ancora lo fa con amore e passione. E’ il caso di una minuscola etichetta londinese, che si chiama in modo significativo, “demo records” : “E’ un progetto artistico con sede a Londra che fa luce sulle registrazioni demo. Creata da Ana Alves (nome d’arte di Anrimeal, un’artista portoghese trasferitasi a Londra), questa etichetta discografica un po’ poco ortodossa mira a celebrare le persone che vivono il mondo con mano partecipe, vigilanza e cura. (Ana) è un’appassionata sostenitrice di un approccio fai-da-te alla musica e alle arti, Ana crede che le demo siano più che semplici lavori incompiuti o un’altra tendenza estetica. Le demo rappresentano un impegno per un modo libero di creare e molto spesso possono mostrarci in modo disinvolto il futuro dell’arte” si legge sul suo sito.
Diversi gli artisti pubblicati, tutti giovani e di diversa estrazione: americani, inglesi, norvegesi, con un’occhio maggiormente dedito al folk acustico vecchia maniera. C’è molto fascino in queste produzioni, autentici prodotti dell’underground che ci dicono come la buona musica esiste ancora, basta cercarla o avere la fortuna di incapparvi. Lloyd Taylor-Clark, ultima scoperta che uscirà con il suo nuovo disco registrato nella sua camera da letto londinese il 17 settembre (è già disponibile in streaming il primo singolo Some sunny day , ad esempio, è un songwriter originario di Bend nell’Oregon, che ha vissuto alcuni anni a Londra prima di tornare a casa. Musicalmente, suoi punti di riferimento sono artisti come Bert Jansch, Vashti Bunyan, Connie Converse e Donovan, grandi protagonisti del for revival inglese di fine anni 60, mentre liricamente si trovano riferimenti a poeti come Louise Glück e Mary Oliver. Un disco delizioso il suo debutto Swan Songs, basato su arpeggi di chitarra e tocchi di slide, basso e batteria una luce occasioni e una voce intima e sussurrata, melodie accattivanti ed estremamente semplici, ma non per questo superficiali. Taylor-Clark ha voluto unire l’esperienza inglese a quella del natìo Oregon, terra selvaggia dove la natura, i boschi, i fiumi dominano l’orizzonte. Una serie di meditazioni in musica che rimanda ai giorni gloriosi della folk music. Un disco capace di riappacificare il nostro io massacrato dal ritmo della vita moderna nelle diaboliche grandi metropoli. Il disco uscirà curiosamente solo in digitale su cassetta. Spiega Ana i motivi di questa scelta: “Al momento non ho il budget per l’uscita in vinile, i tempi di produzione del vinile sono estremamente ritardati a causa del Covid, e inoltre ho sempre avuto un forte legame con le cassette e la loro importanza nella storia della demo e della cultura DIY. È sempre stato un formato analogico accessibile, con una qualità del suono davvero unica, e penso che sia perfetto per la musica che mi piace pubblicare su dischi della mia etichetta”.
Anche Ana è una cantautrice, ha già pubblicato un disco in vinile, l’ottimo Could Divine disponibile anche su Spotify , ma ha un approccio musicale molto più complesso, che fa uso di elettronica e atmosfere ambient che a lei piace chiamare “computer folk”: “Vengo da un background di musica classica, ho iniziato a studiare violino quando ero molto giovane. Mentre studiavo musica classica, mi sono appassionata alla composizione. Quella passione mi ha portato a decidere di trasferirmi a Londra e studiare cantautorato. Attraverso lo studio del songwriting ho trovato il mondo della produzione e dell’ingegneria del suono, che per me ha completato il cerchio. Ho iniziato a scrivere quella che in seguito ho coniato come musica ‘computer folk’, che significa solo musica folk che viene manipolata digitalmente. Da allora ho esplorato diverse tecniche di scrittura, in particolare quella della libera improvvisazione”.
Dotata di una splendida voce, Ana sa esprimere le sofferenze, il grido e l’inquietudine di questa epoca moderna, fatta di lacerazioni umane e sociali. Ana crea e manipola canzoni folk digitali attingendo ai principi post-minimalisti di consistenza, limitazione e ripetizione: suoni di uno spazzolino da denti, del caffè che esce dalla macchinetta, di porte che scricchiolano, trovando la magia nell’umanità delle piccole cose domestiche.
Non fatevi abbagliare dalla musica usa e getta che passa su televisioni, radio e grandi piattaforme digitali: esiste ancora chi la musica la ama come fosse la propria vita e mette la propria vita nella musica.
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