Miriam Sylla è il capitano della Nazionale italiana di pallavolo femminile, impegnata in queste settimane nell’avventura a cinque cerchi alle Olimpiadi di Tokyo 2020, e proprio sull’argomento relativo alla parità di genere non ha avuto esitazioni nell’esternare il proprio punto di vista. L’ha fatto, in particolare, ai microfoni dell’agenzia di stampa nazionale ANSA, di fronte ai quali non ha celato il proprio malcontento sulla situazione che le donne vivono nello sport: “Va bene il doppio portabandiera (quest’anno l’Italia sarà rappresentata dalla tiratrice Jessica Rossi e dal ciclista Elia Viviani, ndr), ma per la parità di genere serve di più”.
Affermazioni che, successivamente, la pallavolista ha voluto argomentare, al fine di divulgare una riflessione completa e che, possibilmente, possa stimolare un miglioramento dello scenario attuale: “I numeri sottolineano un progresso, ma io credo che si debba rispettare e valorizzare di più la donna. In altri termini, non si tratta solo di mettere una portabandiera; serve fare di più, non solo a livello sportivo, ma proprio in ottica generale”.
MIRIAM SYLLA E LE ALTRE: LA PARITÀ DI GENERE È IL NUOVO SOGNO OLIMPICO
A prescindere dalla posizione che ciascuno può avere su tale questione, è innegabile che le parole di Miriam Sylla non possano e non debbano passare sotto silenzio. Molte, troppe atlete di diverse discipline non sono ancora riconosciute come professioniste e nemmeno si vuole più assistere a vicende delicate come quella vissuta da Lara Lugli a Pordenone. Si prenda, poi, il caso della pallamano norvegese: le giocatrici della Nazionale scandinava hanno ricevuto una multa di 150 euro a testa in quanto hanno indossato pantaloncini coprenti al posto degli slip, che risultano molto più graditi agli occhi degli spettatori televisivi e ai dati dell’audience.
Parlare di questi aspetti nel 2021 sembra paradossale, eppure è indispensabile farlo: l’Italia deve svoltare e deve farlo quanto prima. Qualche miglioramento c’è stato (il 48% della spedizione azzurra in Giappone è composto da quote rosa), ma si può fare meglio: basta guardare agli esempi della Gran Bretagna e degli Stati Uniti d’America, che hanno mandato ai Giochi rispettivamente 201 e 329 atlete, a fronte di “appena” 175 e 284 colleghi maschi. Sì, si può fare decisamente di più.