Il premier Draghi ha posto la fiducia sulla riforma della giustizia, precisando, insieme al ministro Cartabia, che sarà possibile migliorare il testo in Parlamento. David Ermini, vicepresidente del Csm, ai microfoni de La Stampa ha spiegato che bisogna cogliere in positivo l’opportunità che emerge di lavorare sulle soluzioni possibili «con spirito di leale collaborazione».
Fiducia, dunque, sulla possibilità di raggiungere un’intesa con le toghe, ma David Ermini ha acceso i riflettori sulla diffusa preoccupazione sulla sostenibilità del meccanismo dell’improcedibilità sulla base dei carichi di lavoro delle corti d’appello: «Molte non reggerebbero l’urto, a parità di risorse e personale». L’ex parlamentare del Pd ha poi ribadito l’importanza di considerare la specificità dei processi di mafia, anche in base agli appelli di magistrati come il procuratore nazionale antimafia: «Allungare i termini processuali solo per gli omicidi non è risolutivo».
DAVID ERMINI: “NON MI PIACCIONO I CATASTROFISMI”
«Non mi piacciono i catastrofismi», ha rimarcato David Ermini in merito alla denuncia delle toghe di sicurezza nazionale in pericolo, mettendo l’accento sul doveroso rispetto della volontà del Parlamento. Per il vicepresidente del Csm c’è uno spazio, anche se stretto, di intervento sul testo, in particolare su un meccanismo innovativo come l’improcedibilità che richiede una convergenza politica non semplice. David Ermini si è poi soffermato sui meccanismi alternativi al processo tradizionale ed ha affermato che la direzione è giusta: «So bene che in Italia tutto ciò che si traduce in un’alternativa alla detenzione o che comporta uno sconto di pena diventa difficile da far digerire a una parte dell’opinione pubblica. Su questi temi, i partiti sono in campagna elettorale permanente. E infatti si parla molto di norme processuali, poco di risorse, investimenti, assunzioni. Cose non meno importanti, per migliorare il servizio giustizia». Infine, una replica a Matteo Renzi: «Preferirei non parlare di libri che si occupano di me, per lo più in modo distorto e offensivo. Me lo sono imposto per il rispetto dell’istituzione che rappresento, anche mordendomi la lingua».