Il green pass, la riforma della giustizia, la riforma fiscale, la guerriglia parlamentare: Mario Draghi ha affrontato quattro scogli pericolosi e li ha superati, sia pure in parte, con l’aiuto di Sergio Mattarella e una ferma stretta alle briglie. La maggioranza sembra una quadriga con ciascuno dei cavalli che scarta di qua e di là a ogni curva del Circo Massimo, il capo del governo nei panni dell’auriga e il presidente della Repubblica nella toga del supremo magistrato che fa da arbitro e di volta in volta sferza e punisce chi non riga dritto.
Sui vaccini Mario Draghi ha usato parole dure, terribili, contro i no vax e chi li sostiene: “L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire”, ha detto giovedì, rivolto chiaramente a Giorgia Meloni e a Matteo Salvini che è parte importante della maggioranza. Il leader della Lega si è offeso, vuole un chiarimento politico, intanto si è vaccinato e lo ha annunciato urbi et orbi. Non solo, l’introduzione del green pass ha provocato un effetto Macron, anche se le norme italiane sono meno rigide: in un giorno c’è stato un boom di prenotazioni, addirittura raddoppiate in Lombardia, Piemonte e Sicilia. Nonostante sui social media imperversino i no vax, gli italiani seguono Draghi. Non è la prima volta e non sarà l’ultima.
L’autorevole rivista scientifica Lancet ha appena pubblicato uno studio sugli effetti dei vaccini in Israele, il primo Paese a sperimentare un’immunizzazione di massa. Il risultato è che il vaccino non riduce soltanto gli effetti letali o peggiori del virus, ma anche i contagi tout court, la conseguenza è che più gente viene inoculata, meno Sars Cov-2 c’è in circolazione, nonostante il virus cerchi di sopravvivere mutando. A Hong Kong si sono inventati ricchi premi e cotillon (anzi persino lingotti d’oro) per chi si vaccina, Draghi ha rivolto un appello al senso civico e alla razionalità dei comportamenti, con una forte componente morale; lo ha fatto in modo asciutto, aspro, con una frase che è scoccata come una freccia; anche in questo caso non è la prima volta e non sarà l’ultima, dal whatever it takes del luglio 2012 a oggi, lo abbiamo imparato.
Altrettanto netta è stata la tirata di briglie sulla riforma della giustizia, questa volta contro i cinquestelle o meglio contro Giuseppe Conte perché è lui il capo della fronda, anche se, a differenza da Luigi II Borbone principe di Condé, non sembra avere un nutrito esercito dietro di sé. Se non sono bastati gli argomenti della ministra Cartabia, in punta di diritto e di buon senso, allora meglio tagliare il nodo gordiano; Draghi lo ha fatto annunciando che è disposto a ricorrere al voto di fiducia per impedire che le centinaia di emendamenti pentastellati affossino una riforma strategica, senza la quale viene rimesso in discussione l’intero Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Il voto di fiducia avverrà venerdì prossimo 30 luglio, poi dalla settimana successiva si entra nel semestre bianco quello che precede la fine del mandato del presidente della Repubblica. Anche Mattarella, proprio il giorno del suo ottantesimo compleanno si è fatto sentire mettendo in guardia dall’eccesso di emendamenti spesso fuori tema che caratterizza i lavori parlamentari, una emendocrazia che ha infettato i partiti; non è una malattia recente, ma si è fatta più grave in questa fase davvero critica della vita del Paese.
Le linee generali della riforma tributaria sono state illustrate da Daniele Franco. Il ministro dell’Economia ha detto che il Governo presenterà un disegno di legge delega. La priorità è ridurre il peso sul lavoro, agendo sul cuneo fiscale, via l’Irap e nessuna patrimoniale. L’Iva verrà “semplificata” e si potrà anche ridurre l’aliquota ordinaria. Ciò va fatto con gradualità, in modo organico (“non si possono cambiare le tasse una alla volta”) e tenendo conto delle coperture. Bisognerà vedere quante risorse saranno destinate alla manovra fin dalla prossima Legge di bilancio che verrà preparata a settembre e da dove verranno: sarà un difficile equilibrio tra nuovo deficit e riduzione delle spese. Molto dipende dalla forza della ripresa la quale, a sua volta, dipende dalla pandemia o meglio dalla campagna di vaccinazione. Tutto si tiene, insomma.
Se passa anche la riforma della giustizia e se prende corpo la prima parte della riforma fiscale prima delle vacanze estive che Draghi sembra intenzionato di passare al lavoro (Enrico Cuccia soleva dire che Ferragosto è il periodo migliore per prendere le decisioni più rilevanti, così si chiudeva in ufficio mentre tutti gli altri erano al mare o in montagna), ebbene la fase uno del Governo d’emergenza potrà essere chiusa in modo positivo. Poi comincerà un’altra fase anch’essa molto difficile e politicamente estremamente complessa. Sarà difficile implementare, come si suol dire, i piani di investimento e gestire la prima tranche di fondi europei; sarà molto complicato capire come si muoverà la quadriga della maggioranza visto che ogni cavallo cercherà di seguire la propria strada per la scelta del nuovo Presidente. Il toto Quirinale è cominciato da tempo, ma finora è stato un esercizio ozioso.
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