Perfino Luciano Violante – magistrato antiterrorismo, presidente dell’Antimafia e infine presidente della Camera – sta esaurendo la pazienza con i suoi ex colleghi dell’ordine giudiziario. “I no della magistratura alla riforma della giustizia aggravano soltanto la sua crisi”, ha detto in una delle rare prese di posizione di sguardo realmente profondo su di un notiziario quotidiano sempre più grottesco. Quello delle ultime 72 ore basta e avanza.
Il Csm ha bocciato in commissione il progetto di riforma della giustizia Draghi-Cartabia, parte integrante del Pnrr. Un duro “niet” corporativo che – dicono – avrebbe disturbato non poco il presidente del Csm: il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Il quale da più di un anno esercita il massimo della “moral suasion” costituzionale al fine di stimolare nell’organo di autogoverno dei giudici un sussulto di consapevolezza sulla crisi manifesta del “terzo potere” dello Stato. E invece nel luglio 2021 il Quirinale ha dovuto nuovamente scomodarsi perché il Csm rinunci per ora a discutere – cioè a bocciare – la riforma a livello di plenum: dove magistrati inquirenti e giudicanti sono in larga maggioranza rispetto ai membri “laici” designati dal Parlamento.
La Gup di Perugia ha intanto accolto la richiesta del procuratore capo di Perugia, l’ex presidente dell’Anac Raffaele Cantone, di rinviare a giudizio Luca Palamara: principale protagonista del suo stesso caso, da lui stesso creato. Cioè la denuncia di prima mano – da parte dell’ex leader potente della corrente giudiziaria Unicost – del totale degrado della magistratura in “Sistema”, in consorteria di potere sottratta a ogni controllo democratico.
Nessuno può discutere senza elementi l’esercizio dell’azione penale da parte di un Pm e la valutazione indipendente di un Gup. Resta il fatto che la parabola di Palamara – espulso dall’Anm, radiato dalla magistratura da parte del Csm e ora imputato per corruzione – continua ad aderire alla narrazione della “mela marcia”: il cui peccato mortale, peraltro, è evidentemente quello di aver rotto dall’interno i veli di silenzio sui mali dell’amministrazione della giustizia in Italia. Contro di lui si è mossa anche l’Avvocato dello Stato con una sollecita e pesante richiesta di danni per “discredito” (“lesa maestà”) all’ordine giudiziario.
Nel frattempo l’altro grande protagonista del caso Palamara, l’ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, è ufficialmente un magistrato in pensione, ma recita contemporaneamente almeno quattro parti. Prima: protagonista dell’unica intercettazione-fantasma che non accusa Palamara ma invece, a suo dire, lo difenderebbe (della registrazione l’esistenza è ormai accertata, ma se ne discute ancora). Seconda: sponsor e difensore di ultima istanza dell’attuale procuratore capo romano Michele Prestipino, la cui designazione da parte del Csm è stata dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato. Terza: tenace editorialista anti-riforma Cartabia su alcuni grandi quotidiani. Quarta: promotore di giustizia della Santa Sede, fra pochi giorni in campo oltre Tevere nell’attesissimo processo al cardinale Angelo Becciu.
Ieri si è intanto avuta notizia che il Pg di Cassazione Giovanni Salvi (chiamato pesantemente in causa da Palamara) ha sollecitato il trasferimento-sospensione urgente di Paolo Storari: il pm milanese recente protagonista del caso Amara. Nel corso dell’inchiesta sfociata nel processo Eni, Storari aveva denunciato la presunta esistenza della cosiddetta “loggia Ungheria”, ma era stato bloccato dal vertice della Procura di Milano. Il suo tentativo di informare direttamente il Csm attraverso Piercamillo Davigo – ex magistrato di Mani pulite e ultimamente leader di una nuova corrente in Csm – innescando l’ennesimo caso della Grande Crisi denunciata in termini quasi sconsolati da Violante. Che non si riconosce più nella magistratura in cui entrò a 22 anni, mentre era assistente universitario di Aldo Moro.
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