Marcus Krienke, in un recente articolo sul Sussidiario, ha ricordato la recente elevazione a venerabile della Chiesa cattolica di Robert Schuman, uno dei padri della Comunità Europea insieme ad Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer. L’articolo è importante, perché ricostruisce come sia sorta l’idea di una Comunità Europea e come ne sia iniziata la realizzazione.
Come sottolinea l’autore, è stato sorprendente che l’iniziativa sia stata offerta a Italia e Germania dalla vincitrice Francia, ma ciò è stato possibile per la “saldezza nel principio cristiano dell’universale solidarietà”. Una saldezza che univa Schuman agli altri due politici cristiani, De Gasperi e Adenauer, e che permise l’inizio della costruzione di quel progetto di Comunità Europea parte della comune eredità democratico-cristiana.
Una frase di Schuman è particolarmente interessante: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta […]; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. L’avventura europea iniziò così, settant’anni fa nel 1951, con la firma del trattato costitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) tra Francia, Italia, Germania (Ovest), Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. La cooperazione tra i sei Paesi fu poi ampliata nel 1957 con la costituzione della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) e della Comunità economica europea (Cee).
I sei Stati aderenti alle tre comunità avevano senza dubbio notevoli dissomiglianze tra loro, ma erano uniti dalla necessità, e volontà, di ricostruzione dopo le distruzioni della Seconda guerra mondiale. Inoltre, doveva essere fronteggiata la consistente minaccia dell’Unione Sovietica, testimoniata dalla divisione della Germania all’interno della stessa Cee. Infine, la cooperazione era limitata a precisi settori, per quanto ampi e fondamentali. Rimaneva non semplice, tuttavia, contemperare i diversi interessi, come dimostra l’opposizione della Francia nel 1958 all’allargamento del Mercato europeo comune (Mec) richiesto dal Regno Unito.
Nel 1992, con la firma del Trattato di Maastricht, venne tolto il riferimento all’economia e la Cee divenne Ce, Comunità Europea, indicando l’intenzione di costruire un’unità politica. I firmatari furono 12: i sei della Cee, con la Germania riunificata, più Danimarca, Portogallo e Regno Unito, Grecia, Irlanda e Spagna. Questo passo fu più difficile di quello iniziale, essendosi rese più nette le differenze tra i vari Stati. Il Regno Unito chiese clausole particolari, diversi Stati, a partire dalla Francia, temevano il peso di una Germania riunificata e perfino la piccola Danimarca pose molti problemi alla sua adesione.
Nel 1995 furono ammesse Austria, Finlandia e Svezia, e nel 2004 vi fu un salto numerico con l’allargamento ad altri 10 Paesi, otto dell’Europa Orientale, portando così il numero dei membri a 25, il doppio rispetto al 1992. Nel 2007 entrarono Bulgaria e Romania e, nel 2013, la Croazia; con l’uscita del Regno Unito i membri sono diventati gli attuali 27.
Questo “balzo in avanti” sembra essere fondato sulla certezza che l’Unione Europea fosse una realtà consolidata, nella quale 27 Paesi, con lingue, tradizioni, religioni, culture, economie e sistemi statali diversi, potessero essere una “sola cosa”. Un’imitazione, parrebbe, dello statunitense “E pluribus unum”, con la Seconda guerra mondiale equiparata in qualche modo alla loro guerra civile. Dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica gli americani si erano convinti del definitivo avvento del “secolo americano”, con il mondo riunito sotto la “pax americana”. In questo “nuovo mondo”, l’Unione Europea avrebbe avuto un ruolo determinante a fianco degli Stati Uniti, se non in diretta concorrenza. Alcuni pensavano addirittura che l’euro avrebbe potuto sostituire il dollaro, anche se 8 dei 27 membri UE ne sono tuttora fuori.
Dopo decenni di guerre con velleitari “regime changing” e fallimentari “nation building”, la umiliante ritirata dall’Afghanistan ha posto fine all’illusione americana. Non solo, la crescente sfida rappresentata dalla Cina sta spostando il focus di Washington lontano dall’Europa, che si ritrova ancor più divisa. Un’Europa che si è trasformata in una retorica ideologia da imporre e non in una costruzione da fare pazientemente insieme, con tempi e modi diversi per rispettare la realtà delle varie situazioni.
Questi ultimi 20 anni hanno evidenziato la artificiosità di questa costruzione, dominata di fatto da una occhiuta burocrazia, priva di responsabilità politica, da regolamentazioni fiscali applicate in modo rigido e con una sostanziale attribuzione di potere effettivo agli Stati più forti, segnatamente Germania e Francia. Della solidarietà di cui parlava Schuman non è rimasta molta traccia, a partire dalla gestione piratesca della crisi greca, per giungere al sostanziale particolarismo nella gestione del grave problema delle migrazioni, all’incapacità, meglio al rifiuto, di condurre una minima politica estera comune e si potrebbe continuare.
Un’ultima osservazione. Nel suo articolo, Krienke scrive che Schuman traeva ispirazione dai principi base che trovava “nella lunga storia dell’Europa e che la sua fede cristiana gli permise di scoprire e comprendere”, ma aggiunge giustamente che “il progetto politico di Schuman, così come lo fu anche per De Gasperi e Adenauer, era politico, laico e universale”. Non credo che l’inserimento di un riferimento alla eredità religiosa dell’Europa nel progetto di Costituzione europea ne violasse la laicità. Comunque, il progetto fu abbandonato una quindicina di anni fa: ora la costituzione di fatto dell’Unione prevede criteri guida come il diritto all’aborto e le teorie gender. Ho difficoltà a credere che i Padri fondatori potrebbero riconoscersi in questa Europa.
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