Primo tempo (2012-2014). Quando ero vice presidente dell’Anvur, l’Agenzia per la valutazione dell’università e della ricerca, mi fu affidata la delega alle Afam, istituzioni di Alta formazione artistica e musicale, ritengo in quanto ero la sola ad avere una formazione umanistica, e non ero né un economista né un ingegnere.
Delle accademie e dei conservatori sapevo pochissimo, ma spinta dal mio senso del dovere ho incominciato ad interessarmene, scoprendo che si tratta di un vero e proprio patrimonio culturale poco o per nulla valorizzato. Molte Afam, tutte le più prestigiose, hanno una quota di studenti stranieri che è più del doppio della media universitaria, fino quasi alla metà: cosa che mi pare del tutto comprensibile, dato che un giovane coreano o americano non viene in Italia a fare scienze politiche (perché dovrebbe?), ma non chiede di meglio che venire a studiare canto o fashion design.
Il settore, appresi, è regolato dalla legge 508/1999: dei previsti regolamenti attuativi, nel momento in cui ho incominciato ad occuparmene, solo due erano stati approvati, il 132 del 2003 sull’autonomia statutaria ed il 212 del 2005, che regola gli ordinamenti didattici. Anvur era tenuta a valutare anche queste istituzioni, ma mancavano riferimenti di standard, di procedure, di criteri. Fu costituito un gruppo di lavoro formato da persone di chiara fama, sia in ambito musicale che artistico, e in alcuni mesi di lavoro producemmo dei documenti che potevano costituire la base per ulteriori sviluppi. A questo punto (a metà del 2014) il mio mandato spirava, e l’attività di valutazione è più o meno spirata anch’essa, se non per le attività legate all’“articolo 11”, per cui le Afam private possono chiedere il riconoscimento dei corsi, originando così un delizioso paradosso per cui accademie che non hanno un riconoscimento statale erogano però corsi che rilasciano titoli aventi valore legale.
Secondo tempo (2021). Qualche settimana fa ho ricevuto, in qualità di presidente del Nucleo di valutazione di due accademie, l’invito a partecipare ad un incontro destinato ai membri dei Ndv delle Afam, in cui i tre funzionari delegati al settore (li cito per nome perché il loro lavoro è l’aspetto più positivo dell’intera vicenda: Alessio Ancarani, Cecilia Bibbò e Giuseppe Carci) avrebbero presentato un’ipotesi di lavoro sulla valutazione delle Afam. Condivido con i lettori del Sussidiario alcune osservazioni che mi sono state ispirate dall’incontro, e che ho inviato ad Anvur.
“Inizio con il dire che mettere a tema una riflessione globale sulla valutazione delle Afam è certamente un’iniziativa positiva, che andrà perfezionata collegando momenti di incontro allargato, che sono occasione di stimolo e innovazione, a un lavoro sistematico guidato da Anvur (Ancarani, Bibbò e Carci) con un ristretto gruppo di collaboratori, che consentano di sviluppare delle strategie. Ciò premesso, segnalo alcuni punti (già emersi dal lavoro del primo gruppo su Afam negli anni 2012/2014, che Carci ha cortesemente ricordato) tuttora irrisolti:
1. Non mi sembra scomparso, anzi mi pare rinforzato, il rischio di appiattimento delle Afam sul modello universitario (il cosiddetto academic drift) che finisce con lo snaturarne la specificità. La motivazione della L. 508 è stata di carattere eminentemente sindacale, non corretta dalla normativa successiva, ed ha finito con il considerare “di qualità” le Afam che si avvicinano al modello universitario, introducendo materie che gli alunni, e gli stessi docenti, considerano inutili, e trascurandone le specificità. Il nostro gruppo aveva tentato di correggere questa deriva suggerendo la possibilità di introdurre degli Istituti artistici superiori (terzo livello non universitario) in cui far confluire quelle istituzioni che pur di ottima qualità non erano in grado, se non con escamotages surrettizi, di adeguarsi alla normativa simil universitaria. Con il ministro Profumo l’ipotesi aveva iniziato a svilupparsi, ma poi tutto si è bloccato, senza originare un dibattito fra gli addetti ai lavori.
2. La lodevole intenzione di un allineamento agli standard europei, che il gruppo da me coordinato ha sostenuto con forza, richiede un necessario adeguamento ad alcuni standard. La frammentazione del sistema Afam, che al momento attuale (non ho controllato, ma credo che il dato sia corretto) comprende circa 140 istituzioni, fa sì che solo un numero ridotto possa essere realmente considerato come istituzione accademica di terzo livello, secondo i criteri fissati dagli organismi internazionali. Questo riporterebbe le dimensioni del sistema italiano a parametri europei. Il discorso vale in particolare per i conservatori, ma anche per le accademie: il problema non è di natura giuridica, come parrebbe credere il presidente della conferenza dei presidenti che propone l’introduzione della specificazione di Afam statale, ma di qualità (e anche dimensioni) dei docenti e dei programmi. Non si può ignorare che nel nostro paese le Afam sono uno dei pochi settori veramente integrati, in cui coesistono istituzioni prestigiose sia pubbliche che private, e altrettanto si può dire delle istituzioni di livello scadente. Il discorso sarebbe lunghissimo, e comprende elementi come i criteri di reclutamento dei docenti, la reale possibilità di istituire dei dottorati o di fare ricerca (distinta dalla produzione artistica), in cui il rapporto con l’università resta irrisolto, quando non apertamente conflittuale, anziché orientato alla valorizzazione delle specificità. Altro problema sul tappeto, i criteri di accesso degli studenti.
3. Va affrontato il problema del tenere o meno sotto lo stesso tetto istituzioni musicali e accademie di Belle Arti, che a seconda dei casi vede spesso una generalizzazione di interessi di un settore a scapito dell’altro. A mio avviso, si tratta di una forzatura che potrebbe essere risolta attraverso un confronto con i settori disciplinari dell’università (confronto utilmente estendibile anche ai docenti, che dovrebbero poter essere scambiabili fra i due sistemi, Afam e università, magari dopo il conseguimento dell’abilitazione scientifica). Resto tuttavia in fiduciosa attesa della valutazione delle sperimentazioni di “fusioni” in atto, come l’ipotizzato polo artistico musicale Donizetti Carrara di Bergamo.
4. Infine, si è parlato di valutazione partecipativa, ma nella mia pur ridotta esperienza vedo che è necessario un profondo lavoro culturale sui docenti (e anche sugli studenti) per chiarire che cosa si intende per qualità e per valutazione, e come questo non sia in nessun modo in contrasto con il carattere “artistico” degli insegnamenti e delle competenze. Questo chiama in causa una riflessione sulla natura e i compiti del nucleo (che al momento attuale, stante la normativa nazionale, ha soprattutto compiti di audit e non di assessment), e sulle difficoltà nei rapporti con la governance delle istituzioni: dove questi sono buoni, non ci sono problemi, ma in quelle istituzioni in cui il nucleo viene visto come un puro adempimento burocratico, e non sono poche, o addirittura come un fastidioso ostacolo, è veramente difficile che riesca ad essere incisivo per il miglioramento. Sarebbe interessante sviluppare il lavoro di confronto fra le relazioni annuali dei nuclei, che Anvur ha già iniziato, per capire in che modo hanno concretamente operato per migliorare il funzionamento complessivo dell’istituzione (anche attraverso un lavoro di comparazione previsto dal DPR 132), oltre che per mezzo di una moral suasion”.
A questo documento che ho condiviso con alcune delle persone che avevano collaborato con me, aggiungo solo un’ultima considerazione: non mi pare che il Pnrr preveda, nelle misure destinate alla formazione, contributi specifici per le Afam, che sono e restano figlie di un dio minore, anche quando godono di un indiscusso prestigio internazionale. Qualche anno e qualche governo fa, si parlava di “giacimenti culturali” come materia prima del nostro paese da valorizzare, soprattutto per i giovani. Ancora un’occasione sprecata?
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