Una testimonianza dell’ultima notte in cella con padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria nel 2013, è stata diffusa da Avvenire tramite il racconto di un uomo (A.K. le iniziali). “Lo chiamavano tutti abuna – padre – Paolo. E ci piaceva quel che diceva”, racconta il testimone, che poi spiega: “Era il periodo del Ramadan e la mattina dopo il sequestro il capo della sicurezza del Daesh, Abu Hamza Riadiyyat, ha prelevato padre Paolo dicendo con tono di scherno, malvagio, che voleva fargli capire cosa fosse la libertà di cui gli occidentali tanto parlano. Io l’ho percepita come una sentenza, ma ora penso che agire così non risponda al loro metodo perché il Daesh filmava tutte le sue esecuzioni”.
“Non so cosa sia successo dopo – dice il testimone – ma ho sentito che lo avrebbero condannato perché lavorava nell’informazione”. Appena fu rapito si disse che i capi del Daesh fossero irritati per le accuse di Paolo Dall’Oglio sui loro massacri di curdi. “Mi rilasciarono poco dopo, dicendo di non far parola a nessuno di ciò che avevo visto – racconta A.K. – ma da tempo voglio dire che Paolo lo ha sequestrato Isis, benché loro ancora lo neghino. Era era un vero amico del popolo siriano: non lo possiamo dimenticare”.
Padre Dall’Oglio, l’ultima notte in cella raccontata dall’infermiere
L’uomo che racconta l’ultima notte in cella con padre Dall’Oglio faceva l’infermiere a Raqqa, poi diventata capitale dello Stato islamico: “Quando il gruppo si è rafforzato, ci ha chiesto di giuragli fedeltà, ma noi ci siamo rifiutati. Come infermieri non potevamo giurare fedeltà a nessuno, ancor meno a questi stranieri che tutta Raqqa sapeva infiltrati da tanti servizi segreti. Così una sera mi hanno arrestato perché, secondo loro, negandogli fedeltà negavo aiuto ai fratelli. Mi hanno portato in prigione, nel quartier generale”.
Paolo Dall’Oglio, 67 anni, era gesuita incardinato nella Chiesa siriana quando è scomparso a Raqqa. Nel 1982 aveva avviato la ristrutturazione del monastero di Mar Musa, dove fondò una comunità monastica con la vocazione all’accoglienza e al dialogo con l’Islam. Nonostante i numerosi appelli e l’interessamento del Dipartimento di Stato Usa che nel 2019 promise una ricompensa a chi forniva notizie, della sua sorte non si è saputo più nulla.