Le armi batteriologiche sono vecchie quanto la civiltà stessa. Se ne parla già in Omero (VII sec. a.C.). Nell’Iliade il dio Apollo con le frecce diffonde la peste sugli Achei, avversari dei Troiani, e nell’Odissea Ulisse usa frecce avvelenate con l’elleboro per affrontare i suoi avversari. Questi due esempi riflettono l’uso di veleni per scopi militari, già diffuso fin dai tempi antichi. Tra il VII e il III secolo a.C. le carcasse di animali venivano utilizzate per “inquinare” i pozzi e le fonti di acqua potabile degli avversari. Allo stesso tempo venivano utilizzate anche frecce ricoperte di curaro e tossine provenienti da anfibi, letame o sangue di corpi putrefatti.
Nel tempo e nelle battaglie questi processi persistono. Un secondo esempio mostra un uso più colto della malattia ed è considerato il primo utilizzo deliberato di un virus come arma biologica. Durante la Guerra dei Sette Anni (1756-1763), le truppe militari britanniche distribuirono coperte contaminate dal vaiolo per inocularlo negli indiani nordamericani che erano alleati della Francia. Gli ultimi due decenni del XIX secolo sono stati caratterizzati da numerosi progressi scientifici che hanno dato origine alla moderna biotecnologia. Parliamo della scoperta del ruolo dei germi nella genesi delle malattie infettive e più precisamente l’isolamento di microbi dannosi come, ad esempio, il bacillo dell’antrace (Robert Koch, 1876) o il bacillo della peste (Alexandre Yersin, 1884); questo sviluppo segna un chiaro punto di svolta con la proliferazione delle armi batteriologiche.
In considerazione dell’aumento dell’uso della guerra batteriologica e delle massicce perdite di vite umane durante la Prima guerra mondiale, le nazioni si sono impegnate a limitarle. Durante la conferenza sul controllo del commercio internazionale di armi e munizioni, fu ratificato dalle nazioni il Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925 volto alla limitazione delle armi chimiche e delle armi batteriologiche. La sua entrata in vigore l’8 febbraio 1928 segna un’effettiva riduzione di questi usi in un clima di comune “proibizione morale”.
Tuttavia, l’autorità del Protocollo di Ginevra dovrebbe essere qualificata nella misura in cui le strategie e gli sviluppi militari batteriologici non cessano completamente. Ad esempio, durante la Seconda guerra mondiale, dal 1940 al 1944, l’aviazione giapponese sganciò bombe a grappolo piene di bacilli per diffondere la peste nelle città cinesi. Durante questo stesso periodo, la marina britannica sperimentò bombe all’antrace e dispositivi generatori di dispersione dell’aria sull’isola di Gruinard. A causa della sua natura molto segreta, lo sviluppo batteriologico e il suo utilizzo rimangono difficili da dimostrare. Inoltre, i decenni della Guerra fredda hanno accentuato questa tendenza, tra informazione e disinformazione, ovvero: accuse di accumulazione di armi batteriologiche, smentite o rivelazioni spesso dovute a incidenti causati durante esperimenti militari.
Nel 1971 Cuba accusò agenti della Cia di aver introdotto virus patogeni nel loro territorio, così come nel 1979 a Sverdlovsk (Urss) dopo l’esplosione di un edificio militare si diffuse un’epidemia di antrace polmonare la cui origine fu smentita dalle autorità sovietiche. Anche l’ulteriore passo compiuto con la Convenzione sul divieto di sviluppo, fabbricazione e stoccaggio di armi batteriologiche (dette anche biologiche) o tossiniche (Ciabt) del 10 aprile 1972 mostra limiti più evidenti del muro di Berlino. Gli sviluppi scientifici associati ai progressi tecnologici rafforzano l’accessibilità biologica e di fatto la minaccia terroristica.
Un cambio di paradigma si verifica a partire dagli anni 90 in cui l’uso di armi batteriologiche non è più una specificità militare ma fa parte dell’arsenale dei terroristi. Di fronte all’uso di armi batteriologiche (bombe aeree contenenti carbone) da parte dell’Iraq durante la Guerra del Golfo (1991-1992), diversi eventi fanno sorgere una nuova forma di minaccia, quella del bioterrorismo. Nel 1992, la setta giapponese Aum Shinrikyo organizzò una falsa spedizione umanitaria per ottenere campioni del virus Ebola nello Zaire, poi nel marzo 1995 raggiunse i suoi scopi provocando un attacco di Sarin nella metropolitana di Tokyo. Un secondo esempio mostra che il bioterrorismo può avere un impatto internazionale anche se prende di mira un piccolo numero di persone, compreso l’invio di posta contaminata. A questo proposito, una settimana dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, gli uffici dei maggiori media americani vengono presi di mira ricevendo buste infette da antrace. Questo modus operandi ha una piccola presa letale rispetto all’intensità di diffusione di un sistema d’arma convenzionale, ma ha un forte impatto psicologico che genera panico e paura nella società.
Poiché sono poco costose e accessibili, le armi biologiche sono chiamate la “bomba atomica dei poveri” e si sono diffuse nei primi anni 2000. Non richiedono particolari sofisticazioni o elevate risorse finanziarie. D’altro canto questa minaccia appare molto più complessa di quanto appaia a causa della dualità e porosità degli scambi, accresciuta dalla loro crescente diffusione su internet, che svolge un ruolo facilitatore. Gli attori, infatti, sono tanti e promuovono i vari trasferimenti tra pubblico e privato, contesto al quale si aggiungono i progressi nella decodifica del genoma umano e della biologia sintetica. Così, i cosiddetti patogeni di prima generazione di origine naturale stanno lasciando il posto a quelli sviluppati artificialmente e suscitano un forte entusiasmo, al punto da vedere lo sviluppo di un vero e proprio commercio di tecnologie e materiali biologici. La porosità indotta da questo tipo di attività mostra anche la sua vulnerabilità.
Inoltre, nel luglio 2006, un giornalista investigativo britannico, James Randerson, ha dimostrato che era estremamente facile ordinare un estratto del genoma del vaiolo e ha rivelato sullo sfondo l’esistenza di un mercato globale dei virus e di agenti patogeni sintetici che possono essere ricevuti impunemente. È necessario ricordare l’esistenza di altre due generazioni di agenti patogeni. Il professore di medicina francese Patrick Berche distingue i patogeni che possono essere migliorati dalla manipolazione genetica più resistenti o più virulenti (2a generazione) e, infine, i nuovi agenti infettivi per “evoluzione molecolare diretta” (3a generazione). La pluralità degli attori dei progressi scientifici rendono difficile percepire il bene e il male, al tempo stesso le biotecnologie soddisfano bisogni primari la cui restrizione alla circolazione della conoscenza sembra altrettanto difficile. Questo contesto fa temere l’arrivo di nuove minacce e solleva molti interrogativi. Come distinguere i casi di malattie naturali, accidentali o intenzionali? Come affronti una guerra non dichiarata? O un’azione terroristica non rivendicata?
Esistono ancora procedure per affrontare i rischi e le minacce batteriologiche? È possibile anticipare utilizzando algoritmi di intelligenza artificiale (Ai)? In risposta alla minaccia batteriologica, nell’aprile 2000 l’Oms ha lanciato il Global Outbreak Alert and Response Network (Goarn), che assiste nella gestione delle crisi epidemiologiche o pandemiche. Di fronte a un attacco o incidente batteriologico, l’Ai, grazie alla sua capacità di archiviare e analizzare colossali masse di dati, può fornire risorse volte a e rafforzare il rilevamento, l’allerta o anche la mitigazione. Anticipazione e previsione sembrano più complesse a causa della natura altamente imprevedibile, per non parlare del modo di tenerne conto proprio di ciascun biologo, nonché delle sue numerose varianti scientifiche. In un contesto sempre più globalizzato, gli aspetti della sicurezza occupano un posto sempre più importante e rivelano molte sfide da affrontare.
Si tratta di una sfida estremamente complessa che mette insieme fattori politici, economici, ambientali e sanitari, andando ben oltre il “semplice” fatto dell’uso militare. Questa trasversalità pone la società civile al centro della minaccia. La salute pubblica globale non è mai stata così fortemente minacciata e connessa. La scienza e la medicina sono strumenti contro il rischio di epidemie, così come i progressi tecnologici stanno sconvolgendo gli usi con l’ambivalenza di poter proteggere e curare le malattie, oltre che distruggere e propagare, una riflessione che invita a interrogarsi sul futuro del progresso pro e contro l’uomo.
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