Per chi ancora non lo sapesse, tra i tanti divari che ci sono tra il Mezzogiorno d’Italia e il resto del Paese ora c’è anche il water service divide, il divario nel servizio idrico. Ne aveva già parlato l’Arera, l’Autorità di regolazione del settore idrico, ma lo ha reso ufficiale il testo del Pnrr che il Governo ha inviato a Bruxelles lo scorso 30 aprile. Nel Mezzogiorno si perde più acqua dalle tubature rispetto al resto del Paese e abbiamo ancora un maggior numero di gestioni dirette dei Comuni – come si usava fare nel secolo scorso – rispetto alle moderne gestioni integrate del Nord.
Insomma, oltre ai ritardi storici che hanno fatto sì che il Mezzogiorno sia “rimasto indietro” vi è anche il ritardo nell’attuazione delle riforme amministrative degli anni Novanta, quelle che, condivise da Governi di ogni colore politico, dovevano riportare il settore idrico nell’area di applicazione delle leggi di mercato attraverso il definitivo superamento delle vecchie municipalizzate.
A partire dalla legge Galli del 1994, una parte dell’Italia, il Centro-Nord, si è organizzata realizzando trasformazioni e accorpamenti delle vecchie gestioni e dando vita a colossi industriali come A2A, Iren, Hera e Acea, mentre il Sud è rimasto al palo dimostrando ancora una volta «che nel Mezzogiorno l’evoluzione autoctona del sistema non è percorribile senza un intervento centrale finalizzato alla sua risoluzione». Sono parole del Pnrr sul tema dei servizi idrici, mentre, con successiva nota del ministero della Transizione ecologica inviata alle Regioni il 12 maggio 2021, è stato stabilito che gli investimenti pubblici del piano devono andare a esclusivo supporto delle gestioni industriali già in essere. Insomma, il Mezzogiorno non ha saputo realizzare da solo il processo di industrializzazione del settore e quindi potrà solo marginalmente accedere ai fondi del Pnrr destinati al servizio idrico.
Ma le cose stanno veramente così come le descrive il Governo? In pratica il Pnrr lamenta «l’insufficiente presenza di gestori industriali e l’ampia quota di gestione in economia». Si imputa al Mezzogiorno che non abbia saputo fare quello che ha fatto il Nord. Se si parte dal presupposto – e dal pregiudizio – che non esista efficienza nella gestione pubblica, il Governo ha ragione. Ma se si considerano sempre e comunque le gestioni comunali come un problema in sé si sbaglia obiettivo: a Napoli c’è un gestore industriale efficiente come l’ABC Azienda Speciale, certo ancora troppo piccolo rispetto ai colossi del Nord, ma che potrebbe tranquillamente gestire anche gli altri 31 Comuni del distretto idrico e avere un ruolo importante nella Regione Campania. Mentre la Gori S.p.A. è una gestione mista con l’Acea S.p.A. di Roma che, almeno sulla carta, ha i requisiti richiesti dal Pnrr per una gestione industriale e per l’accesso ai fondi.
Non si comprende la logica per la quale l’ABC di Napoli, come altre aziende pubbliche che gestiscono il servizio in ampie zone del Mezzogiorno, dovrebbero essere punite e altre gestioni debbano, invece, accedere all’intero pacchetto dei fondi stanziati. A essere colpiti da tale logica non sarebbero solo le aziende, ma anche i cittadini di una parte importante del Mezzogiorno, favorendo al contempo i territori dove operano le grandi società del Centro-Nord. Tutto ciò avviene in aperta contraddizione con le motivazioni stesse dell’erogazione dei fondi del Recovery Fund al nostro Paese da parte dell’Unione europea. Il finanziamento di cui può beneficiare l’Italia, che è il più alto dei Paesi Ue, trova la sua giustificazione proprio nel divario esistente tra Mezzogiorno e resto del Paese.
Con gli investimenti del Pnrr nel servizio idrico accade, invece, il contrario. Le zone a più basso reddito e nelle quali sono presenti storici gap infrastrutturali vengono, di fatto, private delle risorse a loro spettanti, che vengono dirottate verso i territori a prevalente gestione industriale, determinando un effetto di accentuazione del divario che si intenderebbe ridurre.
Tra l’altro, tale impostazione appare contraddittoria anche perché proprio un intervento pubblico infrastrutturale aiuterebbe i territori che non hanno ancora avviato la gestione integrata ad avviarsi su tale strada, finora non percorsa anche in virtù dell’incredibile mole di investimenti infrastrutturali che si andrebbero a riversare sulla tariffa in zone nelle quali il reddito pro capite è strutturalmente e storicamente più basso rispetto quello delle regioni del Centro-Nord e a quello medio europeo.
Con un recente documento del 27 luglio l’Arera fa una proposta per soccorrere le regioni del Sud in difficoltà. E si tratta di rimedi non da poco: l’Autorità di regolazione suggerisce di far intervenire direttamente i presidenti delle Regioni per costituire gli enti di governo degli ambiti territoriali laddove i Comuni non riescono a mettersi d’accordo tra loro; e per la gestione dei servizi suggerisce addirittura l’affidamento temporaneo per un periodo di quattro anni a una società pubblica o mista che abbia pieni poteri in attesa di procedere agli affidamenti nei modi ordinari. Insomma, quella proposta dall’Arera è una vera e propria cura da cavallo per il Sud.
Se dovesse passare questo disegno ne faranno le spese i cittadini della Campania, quelli della Calabria, del Molise e della Sicilia che vedranno i propri servizi idrici gestiti direttamente da Roma in attesa di prendere in mano il proprio destino e, finalmente, provvedere da soli a gestire l’acqua nei propri territori.
Insomma, il Mezzogiorno può e deve sicuramente far meglio, ma questo dipenderà dai finanziamenti che arriveranno effettivamente dallo Stato e dall’Europa e dalla bontà delle opere necessarie e che ora potrebbero essere finanziate.
Al momento l’unica cosa certa è che il Pnrr considera tutto il bacino del Po come potenzialmente e “giustamente” finanziabile, per cui saranno ampiamente supportate opere idrauliche in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Mentre si tirano le orecchie al Sud per non aver saputo far bene da solo e si promette – o si minaccia – un intervento dal centro se non saranno realizzate gestioni industriali.
Certo è un po’ poco per un documento che pretende di risolvere la “questione meridionale” e far ripartire tutto il Paese e non solo la locomotiva del Nord.
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