La riforma della giustizia approvata alla Camera non è stata accolta benissimo dal M5s – come ovvio che sia, dato che è stato modificato l’impianto della precedente legge Bonafede – ma anche gli altri partiti hanno cercato fino all’ultimo di modificare assieme alla Ministra Marta Cartabia alcuni punti nodali del testo. Prima dell’arrivo al Senato dopo la ripresa del Parlamento, la responsabile Giustizia della Lega Giulia Bongiorno spiega a “Libero Quotidiano” i punti sui quali bisognerà lavorare nei prossimi mesi, ma anche la sostanziale fiducia che il Carroccio ripone nella Guardasigilli.
«Il punto è che la riforma Cartabia è solo l’inizio», sottolinea Bongiorno, «un piccolo passo, una parte della grande riforma chiamata a rivoluzionare la giustizia: riguarda le regole organizzative, i tempi dei processi, le modalità di esecuzione della pena, il personale, la digitalizzazione… ma non interviene sui protagonisti dei processi. E invece è su questo aspetto che si deve lavorare». Insomma, l’input da dare ancora al tema giustizia può essere raggiunto dai referendum presentati da Lega e Radicali, ma non solo: «Si deve anche pensare a un nuovo esame per l’accesso alla professione forense e a un nuovo concorso in magistratura, mentre stiamo già raccogliendo le firme su referendum che permetteranno di rivedere i rapporti tra funzione requirente e funzione giudicante».
COSA SUCCEDERÀ DOPO LA RIFORMA CARTABIA
Tutt’altro che una riforma “annacquata”, secondo Giulia Bongiorno il testo della Ministra Cartabia è l’inizio di lungo percorso che per la Lega va nella giusta direzione garantista: «La riforma Cartabia si fonda invece sulla necessità di dare tempi certi ai processi, maggiori garanzie agli imputati e un respiro più ampio al ruolo del Parlamento, che indicherà i criteri generali necessari ad assicurare efficacia e uniformità nell’esercizio dell’azione penale e nella trattazione dei processi». I prossimi passi riguardano la parità delle parti, abolendo il retaggio del sistema inquisitorio che finora ha impedito una vera «svolta liberale» nel mondo della giustizia italiana: «La maggior parte dei magistrati sono donne e uomini perbene, che studiano molto e decidono in modo imparziale. Purtroppo ce ne sono altri non all’altezza della loro funzione, e quanto apparso sui media ha inciso su tutti. Conosco magistrati retti che, se si chiede loro che mestiere fanno, preferiscono rispondere di essere dipendenti pubblici. Serve una svolta che valorizzi il merito, non l’appartenenza alle correnti. I referendum possono essere l’inizio di un cambiamento». La separazione delle carriere, in particolare, è l’elemento sui cui punta forte il referendum sulla giustizia a cui hanno collaborato Lega e Radicali nella stesura: Bongiorno cita Giovanni Falcone quando ammoniva, «il pm nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm siano, in realtà, indistinguibili». Nel dialogo con Pietro Senaldi su “Libero”, l’avvocatessa di Matteo Salvini rivendica l’aver contrastato la legge Bonafede che aboliva la prescrizione – neutralizzata da Cartabia ora – fin dal primo Governo Conte: «dopo una lunga discussione con Di Maio e Bonafede congelammo l’entrata in vigore della norma, subordinandola a una riforma del processo penale che potesse incidere sui tempi. Se Bonafede non avesse accelerato il processo noi ci saremmo opposti all’entrata in vigore, anche lasciando il governo».