C’è una malattia difficile da curare. È stata individuata e ha un nome: si chiama anima. Si tratta di un’impronta originale che rivela una singolare inimitabilità difficile da controllare o domare. Può rinascere per un incontro o per un momentaneo malessere di fronte al bell’e fatto che i campioni della programmazione sempre propongono. Ha un’ intrinseca larghezza che talvolta fuoriesce in modo imprevisto e spiazzante. Il Potere ne ha paura. Perciò nel bellissimo Noi (Garzanti 1972) di Evgenij Ivanovič Zamjatin, che ha avuto diverse traduzioni recenti, si decide di intervenire, in modo radicale, con la Grande Operazione obbligatoria per tutti. Non basta ridurre gli uomini a numeri in fila per quattro. Non è sufficiente provocare terrore con macchine che annichiliscono i dissidenti trascinati dalla fantasia o attratti dalla scoperta del nuovo. Non può neanche il controllo pervasivo della società. Il Potere ha dunque bisogno della carta vincente: quella finale. Si deve eliminare l’io, ogni io, per evitare che rinasca il problema.
Peraltro, il Potere garantisce, già, ai figli obbedienti una felicità strutturata: sesso sicuro e ben preventivato, società perfetta, atti pianificati per tempo, sicurezza rispetto all’imprevedibile, protezione grazie al Muro verde. Nessuno, dunque, manca di ciò che è necessario. La vita è insomma caratterizzata da un ordine tranquillo, garantito dallo Stato Unico, guidato dal Benefattore. L’unanimismo è visibile sia nel modo di vestire che di pensare. Dopo le divisioni e le disunità, causa di guerre, regna finalmente l’uniformità di giudizio sui fatti e sulla storia.
Ma qual è il segreto del Potere? Il Potere, ogni potere sa essere bestia, sovrano e lupo, insegna Jacques Derrida. Ma ha anche il fiuto della volpe. Ha intercettato un punto debole dell’uomo, di ogni uomo. Stare nel proprio, seduti di fronte alla vita, senza dire io. Meglio non parlare, meglio non rischiare, meglio non scegliere. Perché non cedere sé nel nome della tranquillità? C’è già chi pensa e programma in un mondo tutto a posto!
Per Lo Gatto, sia il testo di Huxley The Brave New World che il Benefattore di Zamjatin nascono, infatti, dal confronto con il Grande Inquisitore di Dostoevskij. Il celebre slavista scrive: “Non v’è dubbio che i due scrittori si richiamano nella loro affermazione che la felicità dell’umanità non è conciliabile né con la verità, né con Dio, né con la libertà al dialogo tra Cristo e il Grande Inquisitore”.
Chi ha il Potere in mano ha perciò un sapere. Chi ha inchiodato Cristo in Croce presume di avere una visione dall’alto. Ha inscenato una tragedia necessaria per il Bene dell’Umanità. In effetti, l’amore algebrico per il bene di tutti è inevitabilmente inumano: passa per la distruzione dell’io e degli io che resistono e non cercano il loro sicuro posto a tavola. Di fronte a questa felicità a buon mercato, marchiata da un totalitarismo repressivo, i più non reggono. La manipolazione del pensiero unico è convincente per la massa amorfa.
La stragrande maggioranza, perciò, preferisce la Grande Operazione: meglio rinunciare a sé che la battaglia. Le anime mediocri senza errore, senza peccato, senza vita, insomma, lasciano il campo.
Ma cosa succede quando il Potere vince, grazie alla resa? Prevale la mutazione antropologica. Anche D-503, che ha visto altro, si omologa, entrando nell’incosciente precipizio, dove non si trema più per il destino proprio o dell’altro. Egli denuncia i ribelli, i nemici della felicità e anche I-330, la donna che ha amato.
Ma che cosa accade quando il deserto della pace del Benefattore impera e la dissidente viene messa a morte? “Ella guardava me, tenendo stretti i braccioli della poltrona e mi guardò fino a quando i suoi occhi non si chiusero del tutto”. Uno sguardo ultimo va al fondo. È sempre uno sguardo unico a invocare l’io, superando ogni potere.
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