Eutanasia, servono firme
La raccolta di firme per il referendum sull’eutanasia è diventata l’attività preferita di quel gruppo di radicali che riconosce in Marco Cappato il suo leader. Bisogna proprio riconoscere che Cappato per questo nuovo diritto individuale, il diritto a morire quando e come voglio, ma possibilmente con tutte le facilitazioni del Ssn e la legittimazione della magistratura, non si risparmia in nessun modo.
Lo abbiamo visto, più volte, e in questo periodo quasi quotidianamente, sulla stampa, in tv, su ogni tipo di social darci i numeri delle forme di quanti avevano sottoscritto il referendum sull’eutanasia, come se ogni firma fosse una affermazione di libertà e di vittoria, una conquista di civiltà. È riuscito ad ottenere che si potesse firmare anche via web, ricorrendo alla firma certificata e in nome di un altro dei nuovi diritti: quello all’identità digitale, che non tollera, neppure lui!, discriminazioni di sorta. Se e quando il referendum sull’eutanasia dovesse passare, la gente sa già a che santo appellarsi: a Marco Cappato, testimone instancabile del diritto alla libertà di morire. Ha cominciato la sua carriera accompagnando in Svizzera persone che non volevano più vivere e le ha aiutate a suicidarsi, quando l’aiuto al suicidio era un reato.
L’eutanasia sta diventando per Marco Cappato, e coloro che assecondano questa linea, una vera e propria linea di frontiera, non tanto tra la vita e la morte, quanto tra la volontà di chi vuole ri-affermare a tutti i costi una scelta del tutto individuale, irreversibile, per cui non esita ad allearsi con la morte per la non-soluzione dei problemi, e di quanti invece davanti a questioni di questo calibro, come il dolore e la sofferenza, sentono il bisogno di continuare a riflettere, a valutare, a cercare soluzioni alterative.
Il dilemma non è tra la vita e la morte, ma tra la mia volontà e quella degli altri, qualunque sia la posta in gioco; fino al paradosso di affermare in un’ultima decisione, una volta per tutte, la propria volontà, senza potersi permettere il lusso di rettificare, di cambiare di idea e di tornare indietro, per giocare un’altra partita.
La falsa battaglia e quella vera
La sfida è al sistema legislativo, e quindi all’intero Parlamento, colpevole di non legiferare facendo proprie le istanze che da oltre 15 anni provengono da chi rivendica tra i vari diritti anche il diritto alla morte. Anzi fa del diritto alla morte il diritto dei diritti, quello della suprema affermazione della propria volontà.
Ma questa posizione rivela un’enorme ipocrisia, che è facile smascherare, quando ci si rende conto del conflitto di interessi che può scatenarsi tra chi afferma di voler morire e chi di questa volontà decide di farsi alleato. La sequenza è nota a tutti: comincia con il caso Englaro, che reclama una legge sul testamento biologico. In realtà non gli basta una legge sulle Dat perché Eluana non ha lasciato alcun documento che affermi in modo incontrovertibile che vuole morire. Eluana muore così: senza una legge che lo consenta, ma con un pressing mediatico che sembra chiedere la sua morte quasi con un tifo da stadio. La pietà per Eluana diventa volontà di morte per riaffermare un diritto inesistente nella nostra Carta costituzionale, che è perfino un reato nel nostro Codice penale. Ma Cappato, che ormai ha preso il vessillo di questa crociata, cerca via via dei testimonial selezionandoli per lo più tra persone vittime di gravi incidenti automobilistici. Accoglie senza entusiasmo l’approvazione della legge sul testamento biologico, che pur non approvando in modo esplicito l’eutanasia, apre comunque a insospettate possibilità di eutanasia, almeno del tipo cosiddetto passivo.
Non contento di questa legge, Cappato prende un’iniziativa personale decisamente contro-corrente, sfidante. Ovviamente non manca un forte tam tam mediatico, com’è nella migliore tradizione radicale, e decide di accompagnare alcune persone a morire in Svizzera, sfidando la norma che punisce l’accompagnamento al suicidio. La storia di Dj Fabo si presta benissimo per una narrazione sufficientemente drammatica, da toccare il cuore di tutti: giovane e pieno di risorse; con una famiglia inclusiva in cui non gli manca certo né l’amore della madre, né quello della sorella, né tanto meno quello della sua ragazza. Vorrebbe vivere, ma ormai la vita oltre che dolorosissima è diventata anche senza senso. E Cappato lo accontenta, in uno slancio di generosità che si fa fatica a comprendere, ma che è pure impossibile giudicare al di fuori di una relazione dalle profonde radici di una solidarietà così intima e personale, che obbliga al silenzio e al massimo rispetto. Ma per Cappato e la sua battaglia non è abbastanza; si autodenuncia al suo ritorno e il tribunale di Milano si appella alla Corte Costituzionale, che pronuncia una sentenza non facile da interpretare. La sentenza n. 242/2019 interviene sull’art. 580 del Codice penale, e fissa le condizioni di non punibilità per condotte di aiuto al suicidio. Si conferma il reato, ma, se si danno determinate circostanze, chi lo compie è esentato da responsabilità personali. Ancora troppo poco per chi vuole liberalizzare l’eutanasia ad ogni costo, rendendola accessibile a tutti senza vincoli di alcun tipo; sulla sola base dell’autodeterminazione del soggetto. Ma per comprendere l’uso e l’abuso che si può fare di una tale norma, basta guardare ciò che accade in Olanda, in Belgio e nei Paesi in cui la legge è stata già approvata da alcuni anni. Potrebbe aiutare a capire la prudenza del Parlamento.
La sorprendente affermazione di Speranza
Sorprende perciò la lettera che ieri il ministro Speranza ha inviato alla Stampa, per sollecitare le Asl ad accogliere la richiesta di alcune persone che vogliono anticipare la propria morte, nonostante l’assenza di una legge approvata dal Parlamento. Per Speranza – ministro della Salute! – i dipendenti di una Asl possano aiutare le persone che lo chiedono a morire, a suicidarsi, senza essere successivamente sottoposte a un procedimento penale. Il ministro non chiede alle Asl di verificare se queste stesse persone hanno potuto usufruire delle cure palliative nella necessaria quantità e qualità, come dice la legge 38 e come ribadisce la sentenza della Corte Costituzionale. Non chiede se qualcuno gli ha proposto una terapia contro il dolore, improntata agli ultimi canoni di efficacia – efficienza. Dà per scontato che la persona in questione sia affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili. Propone di facilitare loro la morte, in nome di un inesistente diritto a morire. Ennesimo diritto individuale spuntato dal cilindro di un qualche ministro fantasioso. Diagnosi e terapia sono accantonate davanti al pressing mediatico con cui il prossimo referendum sull’eutanasia si va facendo strada. Oggi forte anche del supporto delle firme on line, richieste e ottenute per far lievitare i numeri, che finora languivano.
Speranza, diritto alla morte e pandemia
Il ministro non fa riferimento al fatto che in tempo di pandemia c’è stato un oggettivo processo di rallentamento nella presa in carico di tutti i pazienti non-Covid, soprattutto nelle Rsa, negli hospice, nell’assistenza domiciliare, ecc. A questi malati, a cui sono state centellinate le cure, ora si permette di morire, senza offrire alternative, sulla base di una richiesta che indica solo la grande spossatezza generale con cui questo paziente vuole smettere di lottare. Spesso perché si sente solo e abbandonato dal Ssn.
D’altra parte, e giustamente, il ministro vorrebbe vaccinare tutti per garantire la loro vita e quella di chi sta loro vicino: in mancanza di una norma vincolante, ricorre a tutti i mezzi possibili per motivare, persuadere, convincere e non si ferma davanti ad un primo No. Si spinge oltre, offre soluzioni, facilita la campagna vaccinale in tutti i modi, arriva perfino a condizionare sottilmente le persone che non vogliono vaccinarsi, ponendo un sistema di vincoli difficili da aggirare. Denuncia chi ha un pass falso e rende possibile scaricare i pass in ogni farmacia, perché nessuno abbia a dire che pur essendo vaccinato ne è privo per non essere riuscito a scaricarlo. Fa di tutto a difesa della vita attraverso i vaccini; ma poi accetta di far morire le persone senza aver lottato fino alla fine per offrire loro tutto ciò ci cui avevano bisogno e che la legge prevede.
È uno strano governo, questo terzo governo della XVIII legislatura: per combattere contro la morte è disposto a chiudere l’intero paese, andando incontro ad un impoverimento generalizzato, da cui stentiamo ad emergere. Sembra che faccia di tutto per schierarsi dalla parte della vita, ma poi cede alle lusinghe radicali di chi vuole alzare la bandiera della morte, per farne un diritto di rango primario. Non lo è! Il vero diritto è quello della vita e assecondare la libertà di morire quando e come si vuole, senza altro vincolo che quello della propria volontà, sta portando in Olanda e in Belgio alla morte di persone con disabilità mentale.
Moltissimi sono i pazienti con Alzheimer per cui un qualche parente reclama il diritto alla morte; analogamente molti pazienti depressi hanno chiesto di poter morire e sono stati accontentati. Sono morti anche adolescenti con anoressia o bambini con tumori. Per tutti loro la morte è arrivata on demand di qualcuno che ha preteso a nome loro che la morte venisse concessa in offerta speciale. Eppure, all’inizio si trattava di casi singoli, di gente totalmente consapevole che voleva por fine alle sue sofferenze. Ma si è aperta una valanga di richieste, tutte regolarmente soddisfatte. Basta vedere i numeri.
Ministro Speranza, torni indietro e si dedichi piuttosto all’assistenza domiciliari che il prossimo spostamento nel campo della medicina territoriale sarà in pole position; sostenga la ricerca per il vaccino contro il cancro, il diabete e la malaria… Incoraggi e porti a compimento la legge sulle malattie rare, tutti obiettivi strategici, che nulla hanno a che cedere con il diritto all’eutanasia.
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