Il sociologo Giuseppe De Rita protagonista di un’intervista ad “Avvenire” rispetto agli effetti che la pandemia ha avuto sulla società e in particolare sulla Chiesa. A differenza di Nando Pagnoncelli, sentito a sua volta su questo tema, De Rita è più tranchant nel sottolineare “l’irrilevanza, l’eccessiva sottomissione, l’autoreferenzialità” della Chiesa italiana durante quest’ultimo anno e mezzo. Il presidente dell’associazione “Essere qui” è tra gli autori di un volume edito da Rubettino, intitolato “Il gregge smarrito. Chiesa e società nell’anno della pandemia“, che attraverso una ricerca molto attenta mette in risalto “lo scollamento con la società reale” della Chiesa, nonché “la distanza tra fedeli e pastori, l’irrilevanza nel pensiero socio-politico“.
Secondo De Rita, insomma, emerge in maniera nitida “il distacco crescente, forte, che già c’era, tra evangelizzazione e promozione umana. Una separazione che riconduce alla lezione ruiniana, a suo tempo fatta propria da tutta la comunità ecclesiale italiana, secondo cui la Chiesa c’è per evangelizzare, per praticare il Vangelo e non per trasformare la società. Una condizione che durante la pandemia si è rivelata ancora più controproducente, nel senso che il sociale nella realtà ecclesiale non esisteva e quindi non poteva reagire. Si doveva fatalmente ritornare soltanto all’evangelizzazione, per la quale però non c’era più energia pastorale“.
Giuseppe De Rita sostiene che evangelizzazione e promozione umana invece “traggono forza l’una dall’altra. Se ne privilegi solo una uno salta tutto. Con la pandemia ce ne siamo accorti. In campo sociale la Chiesa ha manifestato la sua irrilevanza, l’incapacità di discutere con il potere mentre l’evangelizzazione, con le chiese vuote e senza Sacramenti, non è riuscita ad affermarsi. Durante la discussione del Comitato preparatorio sul titolo da dare al Convegno ecclesiale nazionale del 1976, il segretario generale della Cei, monsignor Enrico Bartoletti impose quello che lui chiamava “l’et et”, nel senso che la Chiesa non vive di contrapposizioni, di “aut aut”. Non l’una o l’altra ma insieme, “et et” appunto. Una cultura ecclesiale, quella di Bartoletti, che abbiamo dimenticato“.
DE RITA: “LA CHIESA HA ACCETTATO TROPPO ACRITICAMENTE LE DECISIONI DEL GOVERNO”
De Rita commenta anche uno dei dati più interessanti della ricerca: per il 39% degli italiani e per il 50% dei praticanti, durante la pandemia la Chiesa ha accettato troppo acriticamente le decisioni del governo: “A molti cattolici è sembrato quasi stravagante che la Chiesa accettasse ogni cosa, non discutesse su nulla, che il Papa chiedesse di obbedire all’ordine delle autorità. Che può anche essere giusto nel rapporto con lo Stato ma non dal punto di vista della dimensione partecipante della Chiesa, che anziché esplodere in campo pubblico si è rannicchiata nel privato. C’è tanta gente che in pieno lockdown ha continuato ad andare a Messa magari in chiese periferiche, da amici preti, e molti fedeli erano arrabbiati perché non si celebravano funerali. Ma questa rabbia, questo disagio, li abbiamo tenuti dentro perché in fondo pensavamo che anche se ci fossimo esposti pubblicamente nessuno ci avrebbe dato retta. Anche noi laici non siamo stati capaci di uno scatto d’orgoglio, per dire ad esempio che non si può rinunciare all’Eucaristia. Siamo stati irrilevanti non in termini di potere ma di cultura del sociale, del significato sociale di essere cattolici, di essere Chiesa…“.
Ma come si esce, chiede Avvenire, da questa situazione? De Rita risponde: “Il nostro gruppo non avanza proposte, non vuole fare politica ecclesiale, non intende mettersi dentro discussioni e assumersi responsabilità che sono della gerarchia. Noi facciamo delle riflessioni a latere, diciamo quello che vediamo, ci limitiamo a fornire un input, perché dare un output sulla base di poche conoscenze e verifiche sarebbe un’avventura idiota“. L’indicazione che arriva dalla ricerca è però quella di “cercare la Chiesa fuori dalla Chiesa“: “Oggi è il problema più importante. Le faccio l’esempio di due amici morti in casa e che non potendosi celebrare i funerali sono stati messi su un furgone per essere portati al luogo dove sarebbero stati cremati. Il parroco però ha voluto che passassero davanti alla parrocchia ed è uscito per un segno di benedizione. Ma quanti hanno fatto come lui? Credo pochissimi. La pandemia ha dimostrato che gli uomini di Chiesa non hanno saputo fare un passo oltre la soglia“.