Ha consumato i primi cento giorni facendo praticamente quello che gli pareva e con la soddisfazione di aver frenato la frana nei sondaggi, aver mandato a casa i due capigruppo alla Camera e al Senato e averne dette quattro a quel brutto ceffo di Salvini. Ora che Enrico Letta si avvia a consumare anche i secondi cento giorni del suo mandato, gli è apparso sul cruscotto la scritta “credito esaurito”. E con esso è finita la pace interna e quella “libertà di movimento” che in generale si concede ai novizi.
Ora gli tocca di fare meno discorsi generali e portare qualche risultato concreto. Del resto il percorso delle prossime settimane è ricco di insidie e, come se non bastasse, Letta ha coraggiosamente accettato di candidarsi nel collegio di Siena.
Lasciato vacante dalle dimissioni di Carlo Padoan, andato a ricoprire il ruolo di presidente di UniCredit, la banca che sta dopo 500 anni annettendo il glorioso Monte dei Paschi, il voto senese rischia di essere una prova più ardua di quanto apparisse all’inizio.
Intanto la candidatura a Siena ha dato fastidio a buona parte dei gruppi parlamentari. Trovarsi tra i banchi i prossimi mesi il segretario del Pd non deve essere piaciuto a molti, soprattutto ora che a dirigere i gruppi ci sono due donne, brave ma di scarso prestigio politico. Non a caso sono proprio i due ex capogruppo giubilati ad aprile a reagire nervosamente. Il solito Andrea Marcucci, praticamente in disaccordo su tutto con Letta dal giorno in cui è stato costretto a dimettersi, dal decreto Zan allo ius soli. Ma anche il più taciturno e moderato Graziano Delrio non ha alcuna intenzione di restare alla finestra, e ha annunciato con l’attuale capogruppo alla Camera Debora Serracchiani di aver fondato una nuova corrente che hanno chiamato “comunità democratica”.
Il collegio di Siena è a rischio? Secondo molti sì. Molte cose forse sono state sottovalutate: la vicenda Mps è esplosa proprio in questi giorni, il sostegno dei renziani sembra più di facciata che sostanziale, la candidatura di Palamara, inquisito con Lotti nel processo sulle nomine del Csm, sembra una minaccia non da poco, i voti dei 5 Stelle, nonostante l’impegno promesso da Conte, sono molto difficili da conquistare.
Altro discorso riguarda invece le amministrative. Il patto con i 5 Stelle ha retto solo a Napoli e i sondaggi sembrano infatti sorridere all’ex ministro Manfredi. Situazione complessa a Milano, dove Sala deve subire la rimonta del candidato del centrodestra. Avrebbe tanto bisogno dei voti dei 5 Stelle, ma nonostante l’apertura fatta da Conte, non sembra in grado di far digerire l’allargamento alla sua coalizione. Questo significa dover arrivare comunque ad un difficile ballottaggio.
Situazione compromessa a Torino, dove la rottura tra il Pd locale e la Appendino ha aperto un’autostrada al candidato del centrodestra. Come si sapeva, il risultato però più importante – e che potrebbe segnare il destino di Letta – dipenderà dall’esito del confronto elettorale a Roma. Nonostante la debolezza manifestata come candidato del centrodestra, Michetti sembra saldamente davanti a tutti e sicuro del ballottaggio. A sinistra la situazione è esattamente come si sapeva sin dall’inizio, e cioè la Raggi e Gualtieri che si giocano il passaggio al turno successivo e con Calenda che però segue a ruota.
Dopo le amministrative, sullo sfondo, c’è la partita della presidenza della repubblica e Letta sa che può essere uno dei protagonisti. I suoi rapporti internazionali e la sua esperienza ne fanno uno dei principali grandi elettori. Ma esattamente per questo motivo i mesi tra il voto amministrativo e l’elezione di febbraio sono perfetti per tendere un’imboscata.
In casa Pd Letta non può stare tranquillo. In particolare c’è un tema su cui si stanno concentrando malumori e critiche, e riguarda la preparazione delle “Agorà democratiche”. Le critiche più forti arrivano da “base riformista”, la corrente che fa capo a Guerini e Lotti, che contesta la fumosità del progetto e la scelta di affidarne la conduzione a Nicola Oddati.
Oddati sarà il prossimo coordinatore della corrente “prossima”, nata a luglio e che raccoglie gli ex zingarettiani guidati da Vaccari e Furfaro, molti di coloro che hanno contribuito alla vittoria nelle primarie del 2019, e alcuni esponenti della sinistra non iscritta al partito come Elly Schlein, Giuliano Pisapia, Mattia Sartori. Si distingue dalla corrente storica della sinistra Pd che fa capo al ministro Andrea Orlando e a cui si è aggiunto in questi mesi Goffredo Bettini.
Quanto conti nel Pd “prossima” è presto per dirlo, ma il suo punto di forza è negli organismi eletti dal congresso e nel territorio, considerato che la maggioranza di Zingaretti era molto ampia. Pur essendo stata assai leale con Letta, la componente è stata ricambiata con scarsa considerazione da parte del segretario, forse condizionato dal disimpegno sempre più evidente dello stesso Zingaretti verso il Pd.
Molto probabilmente tutto questo movimento interno troverà un punto di convergenza nella richiesta a Letta di un nuovo congresso. Letta ha sempre detto che se ne parla alla scadenza naturale e cioè nel 2023, dopo il voto. Ma nel momento in cui si trovasse costretto a convocarlo, ad esempio a causa di risultati insoddisfacenti, si potrebbe trovare ad affrontare almeno due validi avversari, Bonaccini a destra e Orlando a sinistra. Ora non è chiaro a quel punto chi dovrebbe sostenere proprio Letta.
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