RIFORMA PENSIONI, I LIMITI DI UN DIBATTITO DA SPIAGGIA
La calura eccezionale dell’estate ha trasformato il dibattito sulla riforma delle pensioni in un suk mediorientale. Basta passare in rassegna i siti che si occupano del tema che nel tentativo di proporre prodotti di giornata si inventano le notizie con titolazioni/specchietto per allodole. Così ogni giorno ci viene raccontato come si uscirà da Quota 100 e quale sarà l’età pensionabile, sciorinando una sfilza di numeri che sarebbe bene talvolta giocare al lotto. In forma collaterale alle pensioni è capitato un episodio molto significativo dell’aria che tira. Claudio Durigon si è fatto cogliere in fallo durante un discorso pronunciato a Latina a proposito della intitolazione di un Parco cittadino. Come sempre accade quando non si ha altro da fare in tanti ne hanno chiesto le dimissioni o il ritiro delle deleghe che gli sono state conferite al Mef.
Matteo Salvini ha difeso Durigon, ma non ha rivendicato il diritto di esprimere le proprie opinioni su di un caso che ricorda la cancel culture. Per Salvini, Durigon va difeso perché “è il padre di quota 100”, che, a nostro avviso, sarebbe il vero ed unico motivo per sfiduciarlo. Ma tornando alla domanda del “che fare?”, per fortuna nel dibattito c’è sempre qualcuno che non osserva le dinamiche dal buco della serratura, ma nel loro svolgersi concretamente.
RIFORMA PENSIONI LE PRIORITÀ DOPO QUOTA 100
Una di queste persone è Alberto Brambilla, Presidente di Itinerari previdenziali, che svolge un’importante funzione nella promozione di una cultura previdenziale. A lui riconosco un’effettiva competenza e onestà intellettuale; questa volta però ho dei dubbi su alcune di quelle. che in unintervista a MF – Milano Finanza, ha definito le priorità da affrontare dopo quota 100.
Concordo certamente con l’esigenza di ripristinare un meccanismo di integrazione al minimo per le pensioni liquidate solo col calcolo interamente contributivo. Il fatto che ciò non sia previsto nella normativa ha radici più lontane della riforma Fornero, perché è previsto così fin dalla legge 335/1995. La riforma del 2011 ha introdotto alcuni requisiti allo scopo di garantire non solo un trattamento minimo ma anche criteri di adeguatezza. A me pare tuttavia che l’introduzione di un trattamento minimo pur necessaria sia un po’ prematura, dal momento che – eccezion fatta per la Gestione separata – per un certo numero di anni le pensioni saranno liquidate col sistema misto.
Nutro parecchi dubbi anche sulla proposta di Brambilla, di “cancellare l’adeguamento dell’anzianità contributiva all’aspettativa di vita. Al suo posto, bisogna ripristinare la soglia di 42 anni per gli uomini e di 41 per le donne”. A prescindere dal destino dell’adeguamento automatico il cui blocco rimane confermato fino a tutto il 2026 (per cui non si comprende la necessità di renderlo strutturale adesso, quando vi è tutto il tempo per decidere) non vedo il motivo per cui si deve togliere d’emblée dieci mesi al requisito contributivo oggi vigente.
I PROBLEMI DI QUOTA 100? TORNARE ALLA RIFORMA PENSIONI DELLA FORNERO
Infine, secondo il Presidente di Itinerari Previdenziali è necessario “creare più flessibilità in uscita”, cosa non semplice tenendo conto delle ristrettezze di bilancio. Per questo Brambilla ha ricordato che le imprese possono ricorrere a “soluzioni alternative, quali contratti di espansione o isopensione”. Si tratta di strumenti “che permettono di anticipare la pensione e favorire il ricambio generazionale senza gravare sul bilancio dello Stato. In questo modo è possibile ridurre i costi del sistema di parecchi miliardi l’anno e abbassare l’età media di pensionamento”. Senza dimenticare che “i pensionati con riceveranno molto più di coloro che hanno utilizzato l’Ape Sociale o la pensione anticipata, dato che questi strumenti permettono di anticipare la pensione da cinque a sette anni”. Tuttavia vorrebbe dire che al posto del bilancio pubblico sarebbero le imprese (non totalmente nel caso del contratto di espansione) a doversi sobbarcare i costi del pensionamento anticipato.
Mi pare, però, che vi sia un problema: chi convince le imprese a seguire questo percorso? Ci possono essere casi anche importanti, ma diventa poco probabile ricavarne una via d’uscita di carattere generale. Resto della mia opinione. Dall’anno prossimo si rientra nel tracciato della riforma Fornero risolvendo i problemi che potrebbero derivare dalla fine di Quota 100 attraverso il pacchetto Ape, se del caso rivisitato all’occorrenza.
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