“Da ottobre in poi avremo una duplice pandemia. Da un lato, ci sarà la pandemia dei vaccinati, che vedrà sì casi di infezione, ma tranne rarissime eccezioni non avremo casi gravi, ospedalizzazioni e occupazioni di terapie intensive. Dall’altro, invece, ci sarà la pandemia dei non vaccinati, tra cui tanti malati, tanti casi gravi, tanti decessi”. È lo scenario che prefigura Walter Ricciardi, presidente della World Federation of Public Health Associations e professore ordinario di Igiene e Medicina preventiva all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che oggi parteciperà al Meeting di Rimini all’incontro “Covid-19, il ruolo centrale della ricerca scientifica: la sfida del vaccino e di una terapia efficace” assieme a Stefano Bertuzzi, Chief Executive Officer dell’American Society for Microbiology; Andrea Costa, Sottosegretario di Stato alla Salute; Skhumbuzo Ngozwana, Ceo e presidente di Kiara Health. Oltre che sul ruolo anti-Covid svolto dalla ricerca mondiale, con Ricciardi abbiamo parlato di vaccini (“La farmacovigilanza conferma che tutti i vaccini sono sicurissimi”), riapertura scuole (“Bisogna intervenire su trasporti, gestione delle attività didattiche e igiene delle aule”), terza dose (“È molto probabile che dovremo sottoporci a una dose boost, di richiamo, utile a rafforzare la risposta immunitaria”).
I due terzi degli italiani over 12 sono completamente immunizzati, ma restano ancora più di 4 milioni gli over 50 che non si sono ancora vaccinati contro il Covid-19 e che non hanno fatto neppure la prima dose. Sono stati “dimenticati”, non fatti oggetto di nessuna politica vaccinale?
Dimenticati assolutamente no. Di fatto il governo e le Regioni hanno messo a disposizione milioni di dosi di vaccino proprio per coprire potenzialmente queste fasce d’età. Fanno parte di una categoria di persone non vaccinate che si possono suddividere in tre gruppi. Il primo, del tutto minoritario, non più del 3%, ma molto rumoroso dei cosiddetti no vax, i contrari ideologicamente alla vaccinazione. Poi ci sono gli esitanti vaccinali: persone sostanzialmente no vax, che però covano una serie di dubbi e riserve sui vaccini. Infine, c’è il terzo gruppo, composto da quelli che hanno paura.
A questo punto che cosa si può o si deve fare?
Bisogna cercare ulteriormente di raggiungerli, ma sarà soprattutto un loro problema, perché da ottobre in poi avremo una duplice pandemia.
In che senso?
Da un lato, ci sarà la pandemia dei vaccinati, che vedrà sì casi di infezione, ma tranne rarissime eccezioni non avremo casi gravi, ospedalizzazioni e occupazioni di terapie intensive. Dall’altro, invece, ci sarà la pandemia dei non vaccinati, tra cui tanti malati, tanti casi gravi, tanti decessi.
I vaccini – ampiamente inoculati come “antidoti al Covid” – non impediscono però di contrarre il virus, né di contagiare e in certi casi neppure di ammalarsi. In Israele, per esempio, nonostante l’altissima percentuale di immunizzati, si registrano ancora alti tassi di ricovero. All’ospedale Herzog di Gerusalemme, per esempio, il 95% dei pazienti gravi e l’85-90% dei ricoverati sono vaccinati con doppia dose, come ha riferito all’emittente Canale 13 il dottor Kobi Haviv, direttore generale dell’ospedale. Si può escludere che questo scenario sia prossimo anche in Italia?
In realtà, anche in Israele resta ancora non vaccinato un 20-30% della popolazione. Quindi, a essere ricoverati sono soprattutto i non immunizzati. È vero che si contano infezioni da variante Delta anche tra i vaccinati, ma il consiglio è comunque quello di vaccinarsi, perché il tal caso l’infezione è molto lieve ed evita conseguenze più gravi. C’è una differenza eclatante tra soggetti vaccinati e non.
Si parla di rischi sei volte maggiori per chi non è immunizzato. È così?
Sì, e il rischio di morire è addirittura 20 volte maggiore.
Che cosa pensa della fortissima campagna pro vaccinazione dei minori, anche under 12, che si è aperta visto il buco degli “irraggiungibili”, gli over 60 ancora da vaccinare?
Bisogna aspettare l’esito definitivo delle prove sperimentali in questa fascia d’età, che al momento stanno andando bene. A ottobre succederà che proprio i bambini sotto i 12 anni non vaccinati si infetteranno a scuola e poi porteranno a casa il virus che colpirà gli adulti non immunizzati. E questa catena di contagiosità determinerà la differenza di esiti tra vaccinati e non.
Intanto la scuola ripartirà a settembre senza regole certe. Cosa non funziona? Dove si sta sbagliando?
Nelle intenzioni il governo si sta adoperando per cercare di aprire le scuole in sicurezza. Ma nella pratica questa operazione va affrontata con la stessa capacità, volontà, tecnica e scientificità che ci ha messo il generale Figliuolo nella gestione della campagna vaccinale. Se non si applicano la stessa decisione e organizzazione sul campo, alla fine le scuole non riapriranno in sicurezza, anzi, molto probabilmente saranno proprio loro un veicolo di infezione. È il secondo anno che succederà e c’era comunque tutto il tempo per prepararsi adeguatamente. Quindi, buone intenzioni, ma risultati poco brillanti.
Quali errori marchiani dovrebbe correggere il governo? Dove sarebbe più urgente intervenire?
Innanzitutto sui trasporti pubblici e scolastici: andavano rafforzati. In secondo luogo, la gestione delle attività scolastiche: non è pensabile che il personale scolastico a contatto con i bambini e i ragazzi non sia vaccinato al 100%, come anche nel caso dei medici. Infine, l’igiene delle aule: vanno benissimo distanziamento, mascherine e igiene delle mani, serve anche l’igiene dell’aria e su questo siamo indietro rispetto ad altri paesi, soprattutto del Nord Europa, che si stanno attrezzando con investimenti tecnologici per monitorare e purificare l’aria delle aule. Non basta certo pensare di cavarsela solo proponendo di aprire le finestre. Sono queste le decisioni da applicare con grande decisione ed evidenza scientifica.
Negli Stati Uniti viene raccomandata una terza dose di vaccino a otto mesi dalla seconda dose di Pfizer o Moderna con l’obiettivo di creare una forte immunità contro la variante Delta, che risulta “altamente trasmissibile”. Ci vuole la terza dose oppure no? Serve per proteggersi dall’ennesima variante prossima ventura?
Lo sapevamo che sarebbe stato molto improbabile che il vaccino anti-Covid sarebbe stato protettivo per anni. Sta emergendo che protegge una buona fetta di persone a distanza di mesi. Quindi, è molto probabile che dovremo sottoporci a una dose boost, di richiamo, utile a rafforzare la risposta immunitaria, più che a una terza dose. E anche in questo caso bisognerà iniziare per gradi: è urgente farlo alle persone più fragili e agli operatori sanitari, che sono stati vaccinati per primi. Poi man mano a tutto il resto della popolazione. Bisogna cominciare a organizzarsi, come già stanno facendo Gran Bretagna, Israele e ora anche gli Stati Uniti.
Non le pare che il dibattito politico e scientifico stia del tutto omettendo il problema delle possibili conseguenze a lungo termine di vaccini approvati da Ema non con procedura standard, ma con autorizzazione di emergenza?
Dopo aver somministrato due miliardi e mezzo di dosi in giro per il mondo senza problemi, perché questi vaccini sono straordinariamente sicuri e protettivi, è ormai prossima l’autorizzazione definitiva. Poi continuerà il monitoraggio, ma per il momento bisogna dire che sono vaccini davvero salva-vita, nel senso che se non li avessimo, oggi conteremmo decessi dieci volte maggiori.
Dopo le polemiche sui casi di trombosi e AstraZeneca, non manca un quadro coerente degli eventi avversi? Cosa ci dice l’attività di farmacovigilanza dell’Aifa?
La farmacovigilanza conferma che tutti i vaccini sono sicurissimi, sono state alimentate paure del tutto ingiustificate.
C’è chi pensa che il green pass stia inducendo nuovi comportamenti, il primo dei quali è la segregazione sociale che una parte di italiani manifesta verso un’altra parte, i non vaccinati. Che cosa ne pensa?
È una discussione astratta su una pandemia che ha causato 200 milioni di infezioni, ha già mietuto 4 milioni di morti nel mondo e che se non viene affrontata con vaccinazioni e con strumenti razionali durerà anni, distruggerà economie e posti di lavoro, provocherà fame e carestie, penalizzerà soprattutto le popolazioni più vulnerabili. Nei paesi poveri farebbero la fila per avere il vaccino…
In questi 19 mesi di pandemia il virus ha dimostrato di essere sempre in vantaggio, costringendoci a rincorrerlo: prima con tracciamenti inesistenti, ora invece inseguiamo il succedersi delle varianti. È possibile “ribaltare” questa situazione?
Sì, è una questione di scelta. Si contano sulle dita di una mano, da Singapore a Taiwan o alla Nuova Zelanda, i paesi al mondo che hanno deciso di anticipare il virus. Tutti gli altri hanno inseguito il Covid, e continuano a farlo.
E l’Italia?
Noi stiamo agendo bene, ma in chiave intermedia. Avremmo potuto evitare la seconda e la terza ondata, invece le abbiamo subite. Adesso siamo abbastanza sul pezzo.
L’Oms segnala che continua a crescere da due mesi il numero dei casi di Covid nel mondo, con oltre 4,4 milioni di nuove segnalazioni solo nell’ultima settimana, che portano il totale dall’inizio dell’epidemia a 206 milioni. È un’epidemia molto resistente. Vedremo mai la fine?
Di questo passo la vedremo tra anni. Il virus ci ha messo 18 mesi per provocare 100 milioni di casi, poi ha impiegato meno di sei mesi per raggiungere i 200 milioni. Se continua così, fra meno di tre mesi toccherà i 300 milioni di infetti con questa variante. Dipende da noi, dalle nostre scelte tardive e deboli. Se aggredissimo il Covid con determinazione, vedremmo la fine e anche presto.
La pandemia ha costretto il mondo scientifico a una grande corsa per trovare vaccini efficaci. Come è stato possibile raggiungere questi risultati?
La ricerca è la chiave cruciale che ha consentito di avere vaccini e terapie più mirate. La ricerca mondiale ha tratto vantaggio dalla condivisione. Rispetto al passato è stato possibile raggiungere questi risultati grazie alla digitalizzazione e condivisione delle informazioni. La sequenza del virus è stata trasmessa dai cinesi per mail, rendendola immediatamente disponibile a tutto il mondo, cosa che non era successa con la Sars. Senza questa alleanza, il Covid avrebbe causato danni e decessi ben peggiori.
In questa partita che ruolo ha giocato e può ancora giocare la ricerca italiana?
Ha già giocato un ruolo importante, perché il vaccino di AstraZeneca ha una componente italiana. E può ancora giocare un ruolo decisivo e straordinario, soprattutto nel campo degli anticorpi monoclonali, dove abbiamo già conseguito risultati sperimentali da sogno. Però in Italia l’innovazione, la sperimentazione sono ostacolate, fanno fatica e questo renderà molto probabile il fatto che saranno altri paesi a proporre per primi soluzioni efficaci. Il sistema deve aiutare di più la ricerca italiana, a partire dai sistemi regolatori, che sono inadeguati rispetto alle esigenze attuali e che hanno bisogno di compiere un salto di qualità.
(Marco Biscella)
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