Al Meeting di Rimini, quest’anno con il titolo “Il coraggio di dire io”, per ben tre volte entra Dante Alighieri. Due incontri e una performance artistica. Poiché sono coinvolta direttamente è stato inevitabile chiedermi cosa c’entra Dante con la ripartenza di cui tutti parlano, con le paure e le insicurezze che ancora ci portiamo addosso, con quell’individualismo così nemico del buon vivere e da cui a volte proviamo con fatica a liberarci.
Con una certa facilità si può rispondere che Dante è il poeta del viaggio, l’uomo che ha potuto vincere la paura della selva oscura, che ha avuto il coraggio di dire io intraprendendo il cammino “e io sol uno m’apparecchiava a sostener la guerra sì del cammino e sì della pietate”. E possiamo anche aggiungere che in questo viaggio periglioso tra “gli spiriti dolenti” prima, “coloro che son contenti nel fuoco” poi e infine “le beate genti”, Dante è consapevole che, pur essendo solo nel dire io, solo con il dramma della sua libertà, non potrebbe affrontare la guerra che lo attende se non “accompagnato”, ed è altresì consapevole che è proprio questo dramma che lo rende fratello e compagno di tutti gli uomini. Ma di tutto questo parleremo al Meeting. Ora c’è un altro punto che brucia. E brucia proprio in una terzina dantesca:
“Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna”.
È una terzina del canto XXXIII del Paradiso, quando Dante, giunto alla visione del Mistero, non si smarrisce in mistiche contemplazioni, ma al contrario “vede” le cose della terra, quelle che noi vediamo tutte disordinate, squadernate, come i fogli di un quaderno quando perdono ciò che li tiene insieme, quelle che ci affanniamo a tenere insieme senza riuscirci, che ci sfuggono, che ci appaiono senza senso, ecco, lui le vede in ordine, insieme, unite, addirittura legate con amore.
Questa terzina, che sempre mi commuove tanto corrisponde a un bisogno del cuore, mi è riecheggiata qualche sera fa, quando, quasi in contemporanea, sono cominciate a giungere le notizie di due immani tragedie: il terremoto di Haiti e la caduta di Kabul. Sono più di 2mila oggi i morti ad Haiti e non sappiamo quali massacri attendono le popolazioni dell’Afghanistan.
Noi non vediamo l’ordine delle cose, non vediamo il senso di quei bambini lanciati al di là del filo spinato dell’aeroporto di Kabul, di quelle donne afghane terrorizzate chiuse nelle loro case, di quei corpi estratti dalle macerie ad Haiti, di quelle migliaia di persone ora bisognose di tutto. Non vediamo. Ma il cuore grida di poter intravvedere un barlume di questo ordine. Ci deve essere un punto che ci consenta di sperare in quello stesso “amore” che nei versi di Dante dà senso e ordine a tutto.
Nel Messaggio inviato al Meeting, Papa Francesco dice: “Il rapporto filiale con il Padre eterno, che si rende presente in persone raggiunte e cambiate da Cristo, dà consistenza all’io, liberandolo dalla paura e aprendolo al mondo con atteggiamento positivo”. È di questo che abbiamo bisogno. Vedere in qualcuno una tale positività del vivere da non poter più dubitare che questa positività ultima della realtà sia possibile. Anche il Meeting può essere l’occasione per vedere.
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