Quest’anno al Meeting di Rimini, l’Associazione Euresis e Camplus propongono un percorso scientifico dal titolo “Dire io. Linguaggio e coscienza”. Il tema centrale è l’io, come oggetto di indagine attraverso gli studi sul linguaggio e sulla coscienza, ma anche come protagonista della ricerca scientifica, a cui partecipa in modo personale e appassionato. Attraverso gli incontri proposti, diversi scienziati ci racconteranno la propria avventura di ricerca, alle prese con le grandi domande della conoscenza scientifica.
Oggi, domenica 22 agosto, alle ore 19, si svolgerà l’incontro introdotto da Marco Bersanelli “Di che cosa è fatto il mondo? Sulle tracce di particelle sfuggenti” con Lucio Rossi, professore di Fisica all’Università di Milano, che dal 2001 al 2020 ha diretto al Cern i Magneti e Superconduttori per il progetto LHC (Large Hadron Collider) e ha fondato il progetto LHC ad Alta Luminosità, e con Juan José Gómez Cadenas, professore di Fisica della Fondazione Ikerbasque, che ha dedicato la maggior parte della sua carriera allo studio dei neutrini, tra le particelle più sfuggenti conosciute. I due scienziati ci mostreranno come gran parte della realtà fisica che ci circonda è costituita da forme di materia e di energia che ancora non conosciamo e non comprendiamo. Ne abbiamo parlato con Lucio Rossi.
Professor Rossi, qual è il suo ambito di ricerca?
Mi occupo della ricerca nel settore della strumentazione per la fisica di base, in particolare quella delle particelle. Al Cern, attraverso gli acceleratori, facciamo andare le particelle sempre più veloci, fino a farle scontrare una contro l’altra; in questo modo scopriamo come è fatto l’infinitamente piccolo. Sono un esperto nel settore della superconduttività, che è uno straordinario fenomeno fisico che ha applicazioni enormi nei magneti superconduttori.
Cosa vuol dire per lei la costruzione di uno strumento scientifico?
Al Cern costruiamo strumentazione di punta seguendo le orme di Galileo, che è stato un grande teorico e strumentista. Costruire uno strumento non è solo un gesto tecnico, ma è la realizzazione di un’estensione del proprio io. In effetti, noi non incontriamo la realtà con la ragione: la ragione viene risvegliata solo quando i nostri sensi incontrano la realtà. È grazie agli strumenti scientifici che possiamo incontrare quella parte di realtà che altrimenti non saremmo in grado di vedere.
Si tratta di una ricerca di ciò che non si vede?
Galileo poté dire nel Sidereus Nuncius: “Ho visto cose mai viste prima”; questo vuol dire che più lo strumento è raffinato, più può mostrare degli aspetti della realtà di cui prima non ti accorgevi, ma che c’erano. Lo strumento ci insegna che non è vero che se una cosa non la vedi, non esiste. Come ogni cosa, devi solo avere i mezzi adatti per scoprirla. Lo strumento tecnico e la ragione sono i mezzi adatti per questo scopo ed è l’insieme dei due che fa la conoscenza.
Cosa la attrae di questo mestiere?
Il fatto che, raffinando i nostri strumenti, inclusa la ragione, scopriamo nuovi aspetti della realtà. Mi colpisce che la realtà ci eccede, non solo perché è più grande di noi, ma anche perché è inesauribile. L’inesauribilità della conoscenza mi colpisce, mi affascina e mi inquieta. Mi inquieta, nel senso vero della parola, cioè non mi lascia quieto e mi fa muovere. Come con un telescopio, con cui osservi prima la Luna, poi una stella vicina e poi una sempre più lontana, anche nel mondo dell’infinitamente piccolo sembra non esserci fine. Questa inesauribilità non si mostra solo dal punto di vista materiale, ma riscopriamo con qualità diverse anche ciò che avevamo già visto.
Dove porta questa conoscenza inesauribile della realtà?
Quello che mi lascia inquieto è il paragone tra la realtà inanimata e l’uomo. Quando conosci una persona, se ne sei affezionato, non esaurisci la sua conoscenza; anzi più gli vuoi bene, più quella persona presenta tratti e ricchezze nuove. La realtà è uguale. Sembra quasi che la realtà inanimata ci voglia suggerire che niente è esauribile. Quando una cosa è inesauribile vuol dire che è segno di qualcosa, cioè è segno del suo Fattore. La realtà è finita, eppure ha un aspetto di non finitezza e questo vuol dire che c’è qualcosa che la eccede.
Cosa ha capito di importante nel suo ruolo di responsabilità al Cern?
Per continuare in questa ricerca inesauribile, sono necessari strumenti talmente complessi che devono essere costruiti da organizzazioni come il Cern di Ginevra. Per la ricerca del bosone di Higgs è stata necessaria un’impresa titanica durata 25 anni, che ha coinvolto diecimila persone, con un costo di diversi miliardi. Si tratta di un’impresa ciclopica, ma tutto nasce dal desiderio che ciascuno di noi ha: quello di conoscere di più. Ciascuno di noi ha questa domanda, come pure ha il desiderio di essere più bravo o di aver successo. Allora, come si concilia tutto questo con il fatto che l’aspetto collaborativo diventa predominante? Come responsabile di una grande collaborazione come High Luminosity LHC, mi sono accorto che non solo è un dovere morale, ma una convenienza umana e professionale, conciliare l’aspetto di riuscita personale con l’aspetto di riuscita collettivo.
Come si riescono a conciliare questi due aspetti?
Per un project leader la cosa più difficile non è tanto conciliare, ma sfruttare il fatto che l’io rende solo se è al servizio di un noi, se è servizio della comunità. D’altra parte, il noi diventa una comunità solo se accetta e abbraccia l’io, senza cancellarlo. C’è un’antinomia tra il singolo e la comunità. Chi vive è il singolo, non è la comunità, ma il singolo trova nell’adesione libera alla comunità la sua vera espressione. Questo lo vedo nel mio lavoro perché, dal punto di vista strettamente professionale, lasciando perdere gli aspetti morali, se tu non valorizzi l’ingegnere, il fisico, il tecnico, essi non rendono, quindi ci perdi. La cosa più importante nella scienza è che lo scienziato sia libero con se stesso, che si parta dall’io, dal singolo. Però è necessario che il singolo capisca che la sua vera valorizzazione è la squadra con cui fa ricerca.
Quali sono le domande ancora aperte, le prossime sfide della conoscenza?
Abbiamo scoperto il bosone di Higgs e ora sappiamo qual è l’origine della massa delle particelle. Ma questa scoperta, oltre alle risposte, ha aperto nuove domande: non sappiamo come il bosone si dia la massa. Abbiamo una spiegazione fenomenologica che funziona, ma non sappiamo perché; intuiamo che ci deve essere una teoria più profonda. La seconda questione aperta è come conciliare la gravità con la quantistica; sono state proposte diverse teorie, ma non abbiamo ancora trovato conferme sperimentali. Un altro problema fondamentale è capire l’origine dell’asimmetria tra materia e antimateria. Se l’universo è stato simmetrico in materia e antimateria, le due quantità dovevano essere presenti in parti uguali. Dopo il Big Bang, si dovrebbe essere tutto re-annichilito, invece la materia ha preso il sopravvento.
E dal punto di vista degli strumenti?
Ci stiamo chiedendo fin dove possiamo spingerci con i nostri acceleratori, che sono come delle barche che ad un certo punto diventano sempre più grandi. Abbiamo in mente il prossimo progetto: il Future Circular Collider e se riusciremo a costruirlo sarà lungo 100 Km con magneti potenti il doppio di quelli di LHC. In alternativa potremmo costruire acceleratori di muoni che hanno certi vantaggi, ma sono estremamente instabili. Stiamo spingendo la tecnologia per capire quale strada intraprendere, perché è lo strumento che determinerà cosa scopriremo.
(Andrea Zannoni)
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