Come è cambiata la comunicazione d’impresa nell’era pandemica? Quali sono i nuovi paradigmi che hanno guidato e guidano gli approcci comunicativi con gli utenti e i lavoratori? Quali sono i bisogni e i pericoli in cui possono incorrere i consumatori? Sono questi alcuni degli interrogativi a cui ha provato a dare risposta Gianluca Comin, founder e presidente di Comin & Partners nel suo intervento introduttivo al webinar “Comunicare i temi complessi: ambiente, salute e sostenibilità del Paese”, organizzato dal Meeting di Rimini, Il Sussidiario, Comin & Partners, Ferpi e Ascai.
La pandemia, innanzitutto, ha fatto emergere nuove responsabilità nei confronti degli utenti, dei consumatori e dei lavoratori: la comunicazione aziendale ha lanciato messaggi rassicuranti verso la situazione che stavano vivendo i lavoratori, un modo – secondo Comin – per dire “ci siamo, siamo presenti”.
La conferma di questa tendenza proviene dalla ricerca La comunicazione d’impresa oltre il Covid-19, realizzata dal Censis in collaborazione con Ascai che ha sottolineato come, durante il lockdown, più del 93% dei lavoratori in Italia abbia letto, ascoltato, guardato messaggi delle aziende sui diversi media (sia online sia offline): per lo più ringraziamenti pubblici ai propri collaboratori per l’impegno profuso, iniziative di beneficenza e di solidarietà, raccomandazioni sull’osservanza di prescrizioni e divieti.
E non è un caso che sempre dal sondaggio emerga come il 46,6% dei lavoratori italiani abbia incoronato il coinvolgimento e il sentirsi parte di una grande comunità come le priorità per la comunicazione aziendale in futuro nella nuova normalità post-Covid: “Autenticità ed empatia sono le parole chiave per i brand, che si legano alla capacità di incarnare valori che si riflettano sulla loro presenza nel mercato, sulla loro capacità di relazionarsi con utenti e dipendenti e di essere attori attivi per il benessere della comunità, sia aziendale sia quella a cui la propria attività si rivolge”, spiega Comin.
Il cambio nella comunicazione va di pari passo con un cambio nelle priorità e nei bisogni informativi dei consumatori. Gianluca Comin ha fatto riferimento al ritratto dei consumatori al tempo del Covid-19 tracciato dall’EY Future Consumer Index, secondo cui la gran parte dei consumatori italiani presta sempre più attenzione all’impatto ambientale (74%) e sociale (66%) di ciò che acquista, al cambiamento climatico (65%), e al riciclare prodotti o imballaggi dopo il primo utilizzo (85%): “Per le imprese è importante puntare sulla soddisfazione di veri e propri fabbisogni informativi che il mercato richiede, ma – mette a guardia il comunicatore – sempre con onestà e trasparenza”.
La nuova normalità post-Covid porta con sé nuovi rischi e sfide: la prima fra tutte è quelle delle fake news. La scelta da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità di coniare il termine “infodemia” per descrivere “la proliferazione incontrollata di notizie scarsamente affidabili in merito all’emergenza generata dalla diffusione dalla Cina del Coronavirus 2019” è l’esito più estremo di processo di sovrapproduzione di informazioni – alcune accurate, altre no – che rende difficile alle persone trovare fonti affidabili e una guida sicura quando ne hanno bisogno. Esistono però antidoti efficaci, come evidenziato dalla ricerca del Forbes Communications Council, che ha provato a definire alcune strategie di difesa utili per le aziende tra cui: piani chiari di risposta, rafforzamento della fiducia tra impresa e utente, monitoraggio delle fonti, ma soprattutto trasparenza, competenza e un pizzico di creatività e umorismo.
A scendere in campo, insieme alle imprese, alle istituzioni e ai comuni cittadini durante la pandemia sono stati anche gli influencer. Dalla ricerca Nielsen del 2020 condotta su un campione rappresentativo di utilizzatori italiani di social media dai 18 anni in su, l’80% ha definito molto o abbastanza credibili queste figure quando parlano di prodotti o servizi. La percentuale però schizza all’83% quando i temi trattati toccano la sfera sociale/pubblica.
“Questi dati hanno fatto così che molti dei cosiddetti creator italiani si siano concentrati, nelle loro comunicazioni social, su temi sempre più di attualità, prendendo posizioni nette. Da ‘semplici’ attori culturali a veri e propri attori del dibattito pubblico, rispondendo anche a sensibilità e bisogni informativi della propria base di follower”, sottolinea Comin.
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