Caro direttore,
le ultime dichiarazioni del ministro dell’Istruzione, soprattutto quelle rilasciate durante l’intervista al Sussidiario, mi spingono a qualche riflessione che vorrei condividere.
Innanzitutto noto che il Ministro rimane a un livello, diciamo così, sempre e solo “amministrativo”. Alla preziosa questione sollevata sull’emergenza didattica (prima che sanitaria) e sulla necessità di tornare ai saperi disciplinari, ad esempio, la risposta resta a livello sociologico e strutturale: il Ministro rileva che il sistema è “caratterizzato da disuguaglianze territoriali e sociali insostenibili, che l’emergenza sanitaria ha messo in evidenza e approfondito. La scuola è lo specchio del Paese. Il primo mandato che abbiamo davanti è proprio lavorare per ricucire, con l’obiettivo di una scuola ‘nazionale’ che dia a tutti le stesse possibilità”. Già, ma quali?
In un certo senso la scuola lo sta già facendo, con un gioco al ribasso delle conoscenze e delle competenze tutto “nazionale”, per citare. La Dad ha permesso un apprendimento circa al 30 per cento di quello precedente (basta guardare il disastro dell’Invalsi), ma anche concesso un “avanti tutti” scriteriato. Il fatto è che tra nuove tecnologie, fantomatiche competenze trasversali e slogan ormai logori, come “imparare ad imparare” usato di nuovo in questi giorni, non si sa più cosa è davvero necessario apprendere per continuare il percorso di studi. Forse niente. Si faccia raccontare, il Ministro, dai colleghi docenti universitari in che condizioni di clamorosa incompetenza di base arrivano nelle facoltà i nostri ragazzi.
Nell’intervista apprendiamo che per la scuola sono stati stanziati due miliardi. Speriamo che non servano stavolta per banchi con le ruote (rimasti accatastati in stanzini misteriosi), mascherine inutilizzabili o amenità del genere. Si parla di decine di migliaia di assunzioni. Vedremo. Il Ministro, poi, per comprovare una “spinta innovativa chiara” nella nostra scuola, cita il fatto che gli insegnanti hanno dovuto imparare a fare lezione dal computer. Oddio, per quanto imbranati possiamo essere in campo informatico, usare le piattaforme per fare lezioni non è poi così difficile, perfino per noi anziani! La vera innovazione sarebbe poter formarsi su metodologie culturali ed educative veramente nuove, adeguate ai tempi e ai ragazzi di oggi, con una programmazione seria della formazione dei docenti fin dagli inizi di carriera.
Temi assenti dalla conversazione col Ministro, il quale parla di un “Movimento di Avanguardie educative”, di cui si occupa l’Indire (il che è tutto dire). Il signor Ministro dice che “pochi lo conoscono” ed è vero, ma perché non lo si fa conoscere allora? Mistero. “La scuola è già in cammino verso il cambiamento, dobbiamo solo dare visibilità e spazio a tutte queste pratiche facendole conoscere al Paese che deve tornare a innamorarsi della sua scuola, uscendo da un dibattito al ribasso che non fa altro che danneggiarla”. È strano che chi dovrebbe far “conoscere al Paese” queste pratiche, dica agli altri che bisogna farlo, no? Che si aspetta?
Sulla ripresa, è indiscutibile che il vaccino sia il bene e chi ha dei dubbi è il male. Discussione non c’è. Suona misteriosa l’affermazione secondo cui “abbiamo definito un quadro di regole insieme alle autorità sanitarie e al mondo della scuola”. Sulla consultazione delle autorità sanitarie ci credo. Ma sul “mondo della scuola”? Chi sarebbero? I presidi? Chiedere qualcosa agli insegnanti no? L’intervista pone, giustamente, una differenza tra presidi e scuole autonome, ma il Covid ha dimostrato che nella stragrande maggioranza i dirigenti sono rimasti quelli di sempre, burocrati statali con l’unico problema di non avere – o scaricare – le responsabilità. Lungi dal prendersele, hanno chiesto a gran voce dei protocolli, rigidi e deresponsabilizzanti appunto, perché non ricadesse su di loro la difficile arte del decidere il bene comune.
La scuola “pubblica”, signor Ministro, non sta progredendo: è rigida, impaurita, con le armi spuntate. Si cambiano voti e giudizi senza chiedere niente a nessuno, si sprecano soldi che non ci sono e il problema principale e sapere di chi è la colpa (di qualsiasi cosa, anche prima che succeda). Questo è il sistema. Perché d’altronde gli studenti non amano quello che devono studiare? Perché le aziende devono formare per conto proprio i ragazzi persino quando escono dai professionali? Perché i presidi bloccano i docenti più attivi e premiano (con compensi da pezzenti, per carità) i più conformisti? Perché vengono prima stanziati i soldi e poi si fanno i progetti e non viceversa? Mille domande si potrebbero e dovrebbero fare sulla vera situazione di un luogo come la scuola che tutto può fare fuorché, per citare un’ultima volta il Ministro Bianchi, innamorare di sé.
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