Se c’è un’immagine pallidamente identificabile con l’inferno è il girone di dannati che preme ai recinti dell’aeroporto di Kabul. Disperati, in cerca di una salvezza rappresentata da soli 15 metri, sempre più irraggiungibili, hanno una fretta furiosa, disposti a perdere la vita, a spingersi e schiacciarsi sotto i colpi altrui, pur di raggiungere una mano che li tiri su, e schiuda loro la salvezza. I talebani hanno fretta, sparano senza esitazioni sulla folla che si accalca. Trattativa sì, ma rispettando le date stabilite, che segnano come termine post quem il 31 agosto.
Gli americani e i loro alleati (non voglio neanche pensare gli italiani) sono istruiti a respingere chi preme e hanno ancora più fretta. C’è il rischio che evacuati tutti i collaboratori non riescano più a partire e salvarsi.
E oggi contano i loro feriti, i loro morti – 60 afghani, 12 marines –, in un carnaio di sangue e corpi che non si può né immaginare né descrivere. Donne, bambini, sangue, stracci tinti di rosso che irrorano di rosso l’acqua sporca del canale che costeggia il perimetro dello scalo.
Anche altri hanno fretta, di mostrare la loro esistenza, la loro forza, di essere riconosciuti. Isis K, ci dicono gli esperti, mortifere formazioni radicali anche più fanatiche e terribili delle bandiere nere. Credevamo che i cattivi fossero i talebani, ed erano già troppi, e troppo malvagi. Non basta, al popolo afghano tocca in sorte di peggio. Sharia anche per questi, ma più dura (non severa, caro ex presidente Conte, ma atroce, ignobile, belluina, diabolica. Sono gli aggettivi giusti, e sono ancora pochi). E morte, attentati, bombe, sulla gente inerme che fugge, e si aggrappa a una speranza. Guerra civile, e martirio per gli innocenti.
Se i bambini ci guardano, e potranno un giorno parlare, condanneranno senza scusanti una guerra ventennale, un’illusione ventennale, e il più vergognoso ritiro di forze militari che si ricordi. Un’infamia, una macchia perenne su chi prometteva una libertà duratura, un’enduring freedom.
E tuttavia le decine di migliaia di volti e voci sfiancati dal terrore, dall’angoscia, dalla fame e sete che cercano un appiglio per infilarsi nel buco di un hangar dei nostri armati testimoniano che non c’è alcuna scelta culturale, nessuna volontaria sottomissione alle leggi dei tagliagole. Che far respirare la libertà è già libertà, e rinchiudersi nel proprio “interesse” non è né umano né civile. I bambini chiederanno il conto a un presidente fasullo che ha sbagliato tutte le mosse che doveva e poteva mettere in campo. Potrebbe chinare il capo, e chieder loro perdono. Non c’era modo peggiore da inventare per celebrare i vent’anni da quell’11 settembre che ha cambiato la storia, mostrando a tutti gli scettici o gli ipocriti che lo scontro di civiltà non era fosca previsione, ma realtà.
Dialogheremo coi talebani, e poi forse con l’Isis? Sarebbe forse nel nostro interesse. Ma è una resa ignobile e cinica, e pericolosa. Non si concede nulla agli assassini, a chi vuole ucciderti. Pagheremo tutti con attentati e vittime per decenni queste giornate fosche d’estate. Il Covid ci parrà poca cosa. Se esistono illuminati nell’islam è ora che alzino la voce, che gridino il loro scandalo, che cancellino la parola fratelli dai mostri che massacrano il futuro del mondo, i nostri svenduti ideali, le nostre coscienze.
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