Da Mattarella è arrivata una forte critica all’incompiutezza dell’Unione Europea. “La politica migratoria non è mai diventata una materia realmente comunitaria. Ed è singolare, davvero curiosamente singolare” ha detto il Capo dello Stato rispondendo ad alcuni giovani nell’80° anniversario del Manifesto di Ventotene. Secondo il presidente della Repubblica l’integrazione europea e la condivisione degli oneri comunitari impongono anche l’accoglienza dei migranti e dei profughi afghani di cui si difendono i diritti.
Ma è nelle sue sottese implicazioni che il discorso presidenziale rivela la parte politicamente più interessante, e stando alle dichiarazioni dell’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri Josep Borrell, anche la più spinosa. Si possono accogliere gli afghani e chiudere le porte ai migranti che salpano dalla Libia e dalla Tunisia verso le nostre coste? La risposta di Mattarella e del ministro Lamorgese è certamente negativa. Ma gli argomenti di Borrell hanno un sapore diverso: “Qualunque paese ha il diritto di proteggere il suo territorio”, ha detto l’alto funzionario, che ha anche assicurato il sostegno finanziario dell’Unione ai paesi limitrofi, perché “la capacità di assorbimento dell’Europa ha dei limiti”.
“Mi sembra una situazione paradossale in cui l’europeismo rischia di travolgere il progetto europeo” dice al Sussidiario Paolo Quercia, analista di relazioni internazionali.
Mattarella ha detto che la politica migratoria non è mai diventata una materia realmente comunitaria. Al tempo stesso ha difeso il processo di integrazione europea per come storicamente è avvenuto (la costruzione della “sovranità condivisa” dell’Unione). Questo modello è la strada giusta?
Nelle parole del presidente della Repubblica leggo una critica dura all’Unione Europea reale, quella dei Trattati, in favore di una Unione ideale che non si è potuta realizzare neanche nei momenti di maggior forza delle idee europeiste. Pur condividendo le critiche che si possono fare all’Unione, dubito che oggi siamo nel momento politico favorevole per rivedere i caratteri fondamentali del progetto europeo, nonostante la retorica dell’Europa che rinasce nelle crisi. Ma soprattutto non vedo la questione migratoria come motore d’integrazione. Anzi, proprio il tema migratorio mi sembra il meno adatto oggi a rilanciare l’idea di Europa.
Per quale motivo?
Perché è proprio quello più divisivo, quello che addirittura, se mal gestito, può portare all’implosione dell’Unione.
Cosa si dovrebbe fare?
Oggi partirei a costruire una nuova Europa partendo dalla sanità, dalla fiscalità e probabilmente dalla cultura e dalla formazione scolastica ed universitaria. Anche la mitica Europa della difesa non mi pare un concetto vincente per rilanciare l’integrazione europea.
Cosa indicano invece gli episodi che lei ha definito di “risovranizzazione”, o più in generale la posizione dei “gelidi antipatizzanti dell’integrazione” come li ha definiti il capo dello Stato?
Indicano che è in corso un fenomeno di revisione degli aspetti negativi o sconvenienti della globalizzazione ulteriormente accelerato dal rattrappimento geopolitico americano, dal caos in cui versa il Mediterraneo e dall’assertività di molte potenze esterne.
Ci spieghi meglio.
Cambiando il rapporto costi/benefici, molti Paesi hanno iniziato a ricercare nuove forme di tutela dei propri interessi nazionali. Lo vediamo in campo economico, in quello della fiscalità, in quello militare, in quello commerciale, nel settore degli investimenti, in quello tecnologico. Credo cha anche l’Ue debba tenere in conto quanto sia cambiato il sistema internazionale e dell’inversione che la globalizzazione sta assumendo. Dalla delocalizzazione incontrollata delle aziende, agli investimenti di capitali predatori, agli spostamenti di popoli verso il nostro continente. Vi sono momenti in cui il processo d’integrazione europea non si è distinto da quello più ampio della globalizzazione.
E invece?
Oggi credo sia opportuno tenerli separati. Forse proprio una migliore gestione delle frontiere esterne ed in generale dell’azione esterna dell’Unione consentirebbe all’Ue di costruire nuova sovranità senza toglierla agli Stati membri.
Giustamente Mattarella dice che senza una politica estera comune “si finisce per affidare la gestione del fenomeno migratorio agli scafisti e ai trafficanti di esseri umani”. In attesa di una politica comune le uniche scelte possibili sono quelle aperturiste o semplicemente passive del ministro Lamorgese?
La criminalizzazione del fenomeno migratorio è un dato di fatto, ma la soluzione non è nelle mani dei ministri degli Interni, tanto più tecnici. Centinaia di migliaia di persone vengono movimentate dai trafficanti, con violenze inaudite di cui in pochi si lamentano, basta che poi le vittime arrivino a salvarsi in Europa. Anzi quelle violenze, quelle violazioni sono proprio il passaporto per entrare in Europa. E intanto gli Stati di origine e di transito, con cui spesso non vogliamo intrattenere rapporti politici perché governati da regimi poco raccomandabili, traggono profitti o alleggeriscono i loro problemi interni grazie a questo triste mercato di esseri umani, oltre ad accumulare un arsenale demografico con cui premere sull’Europa estraendone concessioni politiche e denaro.
Insomma, c’è ben poco da stare sereni. Che cosa bisognerebbe fare?
È una spirale che va interrotta utilizzando prevalentemente strumenti economici, visto che il motore dei flussi è in prevalenza economico. Occorre giocare con attenta condizionalità le carte dell’azione esterna, in particolare quelle degli aiuti allo sviluppo e delle sanzioni economiche.
Ieri l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri Josep Borrell ha detto al Corriere che “la capacità di assorbimento dell’Europa ha dei limiti”. Questo vuol dire dare ai Paesi limitrofi “un sostegno finanziario come abbiamo fatto con la Turchia”. Che dire?
Che le posizioni di Borrell rappresentano un cambio di rotta notevole dell’Ue, le cui istituzioni non sono mai state cosi assertive. La crisi afghana ha indubbiamente ridestato nelle capitali europee i sentori di una possibile nuova crisi migratoria come, se non peggiore, di quella del 2015. Ad ogni modo sono opinioni che contrastano in maniera estremamente netta con le parole di Mattarella sul tema. Parrebbe quasi che stiamo giungendo ad uno scontro tra due opposte idee di Europa.
La rotta migratoria del Mediterraneo centrale e i rifugiati afghani. Vale lo stesso principio, quello dell’accoglienza, per le due diverse provenienze?
Io credo che ogni rotta vada valutata in base a standard differenti. Le migrazioni sono fenomeni geopolitici, il cui carattere dovrebbe restare regionale e le considerazioni politiche su ogni rotta possono essere influenzate da fattori storici o necessità di vicinato.
Però la Libia o i Balcani sono ormai degli hub di immigrazione globali verso l’Europa.
È vero. La globalizzazione del fenomeno ha cambiato la geografia ed i rapporti di vicinato. Però ogni regione del mondo dovrebbe possedere meccanismi di gestione locali dei problemi migratori e le responsabilità degli Stati dovrebbero essere maggiori quanto più prossimi ai Paesi di crisi. In questo senso la rotta del Mediterraneo centrale ha per l’Italia un’importanza diversa rispetto ad altri Paesi di origine geograficamente più lontani.
Il ministro Lamorgese è oggetto di forti critiche per l’assenza di contrasto all’immigrazione clandestina. Che rapporto vede tra il suo operato e l’idea di Europa difesa dal capo dello Stato?
Mi pare vi sia complementarietà tra la linea del ministro degli Interni e del presidente della Repubblica sui temi migratori. Chiediamo più Europa per potere fare meno scelte sul fronte del contrasto alle migrazioni illegali, che sono scelte dolorose e scomode perché comportano dover decidere chi ha diritto ad entrare e chi no. A chi concedere l’eccezione della violazione dei diritti dell’uomo e chi trattare come semplice migrante economico. Un lavoro infernale, considerata la magnitudine del problema, l’inadeguatezza della nostra burocrazia statale e della nostra magistratura oltre alla mancanza quasi totale di informazioni verificabili per accertare quanto dichiarato dai richiedenti asilo. Un lavoro di cui nessuno vuole assumersi la responsabilità politica. E che dunque vorremmo scaricare sull’Europa, sia politicamente che geograficamente. Ma se ogni Paese europeo facesse cosi verrebbe meno lo stesso concetto di Europa. Mi sembra una situazione paradossale in cui l’europeismo rischia di travolgere il progetto europeo, che ha bisogno di Stati membri che si assumano le loro responsabilità.
(Federico Ferraù)
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