Dio non è morto e non lo ha fatto neanche ad Auschwitz: ne è sicura Jadwiga Pinderska Lech, presidente della Fondazione vittime di Auschwitz-Birkenau, oggi intervista dal “Corriere della Sera”. Dà voce ai sopravvissuti, cura tutte le attività e i manoscritti decidendo come e se pubblicare ed è anche responsabile della casa editrice del Museo statale di Auschwitz-Birkenau: la donna racconta di aver ereditato l’ufficio che dal 1942 al 1945 appartenne a Eduard Wirths, il medico capo del lager e superiore di Josef Mengele, il “dottor Morte”.
Un’esistenza tutta dedicata alla memoria di una delle più nefaste atrocità che la storia umana possa aver concepito, il genocidio nazi-fascista nei campi di concentramento tra gli anni Trenta e il 1945: eppure Pinderska Lech, pur riportando aneddoti e storie delle tragedie occorse in quei luoghi di Oswiecim (il nome polacco originario di Auschwitz, ndr), non si è arresa alla possibilità che la fede potesse essere rimasta schiacciata dall’orrore e dalla morte (nonostante quello sterminio lascia sgomenti e attoniti chiunque si accosti con spirito sincero e interessato a quei luoghi anche oggi).
“DIO C’ERA NEI LAGER”: LA TESTIMONIANZA
«Dov’era Dio ad Auschwitz?», la domanda è ben posta dal “CorSera” alla presidente della Fondazione vittime, in quanto cristiana cattolica la sua risposta è ancora più interessante e testimonia tutto il mistero che possa generare un fatto così fuori dalla portata (e resistenza) umana come la Shoah. «Non riuscivo a trovare risposta, come gli innumerevoli israeliti, cattolici e protestanti che in questo inferno sulla terra persero tra patimenti inenarrabili non solo la vita ma prim’ancora la fede», racconta Pinderska Lech. Un giorno però qualcosa cambia nella vita della donna polacca: «mi sono fermata ad osservare uno strano oggetto rinvenuto nel nostro archivio. Lo costruì un prigioniero, inanellando minuscole palline fatte con la mollica del pane. Un rosario. Mi ha sconvolto». Il commento di Pinderska Lech dice tutta la semplicità ma anche vertiginosa conclusione a cui si può giungere osservando storie come quella di san Massimiliano Kolbe o ancora più “sconosciute” come quella raccontata dalla presidente, «Chi mai ad Auschwitz si sarebbe privato del razionatissimo cibo per il corpo allo scopo di alimentare la sua anima, se non avesse creduto in Dio e nella vita eterna?».