Ci sono paesi africani di cui, per il loro limitato territorio, ci si dimentica completamente, ma che non hanno mai conosciuto, dopo l’indipendenza dalle potenze coloniali, alcuno sviluppo democratico e di conseguenza economico. È il caso della Guinea, piccolo stato ex colonia francese schiacciato tra Senegal, Guinea Bissau, Mali, Costa d’Avorio, Liberia e Sierra Leone, sulle coste dell’Africa occidentale. Qui nei giorni scorsi si è consumato un colpo di stato guidato dal tenente colonnello dell’esercito Mamady Doumbouya, che ha posto fine al regime durato circa dieci anni del presidente Alpha Condé. Un regime, quello di Condé, iniziato come quasi sempre in Africa con grandi promesse democratiche e poi trasformatosi in una dittatura personalistica e anche violenta, capace di soffocare nel sangue le rivolte popolari. Non si sono registrate vittime in questo golpe, anzi la popolazione è scesa in strada festeggiando. Condé è agli arresti domiciliari e i militari promettono una transizione tranquilla verso nuove elezioni. “Il problema è che in Africa si ripetono sempre gli stessi episodi. Militari che depongono dittatori, promettono la democrazia, poi si tolgono la divisa e indossano giacca e cravatta per instaurare un nuovo regime dittatoriale” ci ha detto in questa intervista Marco Di Liddo, responsabile dell’Area Geopolitica e analista responsabile del Desk Africa e del Desk Russia e Balcani del Cesi (Centro Studi Internazionali). E come sempre, dietro ogni nuovo regime, ci sono gli interessi economici: come quasi ogni paese africano, anche la Guinea possiede ricche risorse minerarie, in particolare la bauxite, della quale è il secondo produttore al mondo.
Anche la Guinea, come quasi tutti i paesi africani, dopo l’indipendenza non ha mai conosciuto un’autentica democrazia e come quasi tutti i paesi africani è ricco di risorse minerarie, già sfruttate dalla Cina. C’è Pechino dietro questo colpo di stato?
No, assolutamente no. La Cina farebbe comunque affari con qualsiasi leader politico in Guinea, per Pechino cambia poco. La prima garanzia che viene data da chi prende il potere è mantenere inalterati i contratti con i paesi stranieri, anche perché c’è bisogno del supporto internazionale più o meno esplicito per garantire il potere. Inoltre non è nello stile della Cina organizzare colpi di stato in Africa.
Si può dire che la Guinea non ha mai conosciuto un reale regime democratico? Le promesse fatte da questa giunta militare sono le solite o secondo lei c’è davvero una reale possibilità di transizione democratica?
Il problema di questi stati africani è che i militari prendono il potere, promettendo una fase di transizione per arrivare alla democrazia. Molte volte, terminata la transizione, dismettono la divisa per indossare la cravatta e continuano a gestire il potere in maniera personalistica. Diciamo che c’è poca speranza, anche questa volta, che si instauri un autentico regime democratico.
La Francia, potenza ex coloniale, che interessi difende ancora in Guinea?
Meno che in passato. La Francia ha molte gatte da pelare nell’Africa occidentale, il Sahel è decisamente la priorità e le risorse francesi per impegnarsi in altri paesi sono decisamente limitate. La Francia proverà iniziative diplomatiche, ma un intervento diretto sarà molto difficile.
Appunto, la vicinanza con il Sahel: anche in Guinea ci sono infiltrazioni islamiste?
In maniera limitata rispetto al resto dell’Africa occidentale. Il vero problema della Guinea, in quanto paese costiero, è il narcotraffico.
Che previsioni si possono fare?
Almeno nei prossimi mesi questo consiglio nazionale per la riconciliazione gestirà la transizione, cercando di presentare un volto accettabile all’estero e facendo delle promesse per mantenere i rapporti internazionali e gli aiuti umanitari. Ma sugli sviluppi democratici resta più di un interrogativo.
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