In tempi di pandemia di Coronavirus si fa un gran parlare anche di memoria immunologica, un meccanismo che, a seguito di un’infezione o di una vaccinazione, consente abitualmente al sistema immunitario di tenere a memoria gli antigeni con cui è entrato in contatto originariamente, così da permettergli di organizzare prontamente le barricate difensive e reagire con maggior immediatezza in caso di un nuovo contatto, eliminando, pertanto il patogeno coinvolto.
Un vero e proprio riflesso automatico con cui il nostro organismo risponde all’attacco dei virus. Lo si legge in un approfondimento tratto da “The Atlantic”, che recita quanto segue: “La prima volta che una persona incontra un virus o un vaccino, un’ondata di combattenti veloci ma imprecisi – membri del sistema immunitario – si precipita a murare l’aggressore, guadagnando tempo per l’arrivo dei tiratori scelti. Quest’ultimo gruppo impiega diversi giorni per attivarsi, ma vale la pena attendere. Dopo un paio di settimane, il sangue è pieno di anticorpi: cellule B e cellule T”. Al di là del linguaggio caratterizzato da un’evidente eco bellica, l’importanza di questa “reazione” è decisamente facile da dedurre e comprendere.
MEMORIA IMMUNOLOGICA: “CONFIDIAMO CHE ANCHE CON IL CORONAVIRUS SI SVILUPPI”
Come anticipato in premessa, si sente parlare diffusamente di memoria immunologica in riferimento alla durata della protezione da Covid-19. A tal proposito, Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (AMCLI) e della Federazione Italiana Società Scientifiche di Laboratorio, ha risposto così nel merito ai microfoni dell'”Huffington Post”: “È il caso della SARS, virus diffusosi tra il 2002 e il 2004, che ha generato nelle persone infette una memoria immunologica durata anni. Confidiamo che lo stesso possa accadere col Covid-19: fino ad ora i dati suggeriscono che, a distanza di sei-nove mesi dall’infezione, la memoria immunologica dei linfociti B e T permane”.
Servirà indubbiamente una lunga osservazione per saperne di più, anche se alcune ricerche e alcuni dati iniziano a suggerire l’ipotesi di sviluppo di “cellule della memoria” e di potenziale immunità a lungo termine anche dopo i vaccini a Rna messaggero. In particolare, uno studio pubblicato su “Nature” ha rilevato la presenza di plasmacellule del centro germinale sia fra i guariti che fra i vaccinati.