Dopo una vita vissuta intensamente, ricca di sofferenze e soddisfazioni, di eccessi e spiritualità, di errori e redenzione, Johnny Cash muore a Nashville il 12 settembre del 2003. Circa venti giorni prima del decesso, Cash rilascia un’ultima toccante intervista a Kurt Loder per conto di MTV di cui si può leggere il resoconto completo nel libro Johnny Cash The Last Interview and other conversations (disponibile solo in inglese).
La breve chiacchierata, di dieci minuti circa, prende spunto dalla nomination a sei MTV Video Awards della canzone Hurt, remake del brano dei Nine Inch Nails, inclusa nell’album American IV: The Man comes around. Cash, successivamente ricoverato in ospedale, non potrà partecipare alla cerimonia di premiazione del 28 agosto che lo vedrà vincitore del solo premio per la migliore fotografia.
L’intervista tocca diversi temi: la realizzazione dei video (“Ti piace registrare i video? No, non particolarmente”), del primo approccio con il produttore della svolta Rick Rubin (“Non voglio incontrarlo”), l’amore per la moglie June Carter (“Siamo stati insieme 40 anni”) e della sua vita turbolent (“Non ho mai permesso a nessuno di dirmi che stavo sbagliando a scrivere e cantare delle droghe, della morte e dell’inferno”). Nella parte conclusiva dell’intervista viene toccato il tema della morte e della fede in cui Johnny Cash, nonostante le tante sofferenze per i suoi malanni fisici e ancora carico di dolore per la morte di June avvenuta solo tre mesi prima, risponde con serenità e semplicità: “Mi aspetto che la mia vita si concluda molto presto, sai, ho 71 anni. Ho una grande fede, ho una fede incrollabile, non sono mai stato arrabbiato con Dio, non ho mai girato le spalle a Dio. Non ho mai pensato che Dio non esistesse. Sapevo che Lui era il mio consigliere, Lui è la mia saggezza. Tutte le cose belle della mia vita arrivano da Lui”. A quel punto Loder lo incalza con un’ultima decisiva domanda: “Dove credi che andremo dopo”? e Cash risponde in maniera molto lucida e schietta: “Dove andiamo? Quando moriamo intendi? Oh well, speriamo tutti di andare in Paradiso” e le immagini sfumano con Johnny che annuisce più volte lentamente con il suo volto segnato e un sorriso rassicurante.
Johnny Cash ha vissuto una vita tumultuosa ma forte nella fede seppur tra cedimenti e riscatti. Della profonda fede di Cash abbiamo testimonianza oltre che, con la sua vita e le canzoni, anche grazie al suo unico romanzo “L’uomo in bianco” (Piano B Edizioni) sull’apostolo Paolo che lo ha impegnato parecchi anni tra studi, letture e viaggi fino al suo completamento nel 1986. Come scrive nella postfazione del libro il figlio John Carter Cash, il padre Johnny ha vissuto le sue sofferenze e i suoi dolori come delle spine nella carne e le ha “Accettate come un fardello personale, come qualcosa oltre cui elevarsi, per cui affinare il proprio coraggio, definire lo scopo della propria vita, come aiuto per ricordarsi di essere grato per le sue benedizioni”. Nessuna sofferenza gli è stata risparmiata in vita, queste spine nella carne non sono mai state rimosse e lo hanno accompagnato fino al giorno della sua morte. E a noi è rimasta la sua testimonianza di fede, il dono delle sue parole e della sua musica grandiosa”.
In ottobre verrà pubblicato l’album At the Carousel Ballroom, registrato a San Francisco il 24 aprile del 1968 nel periodo che coincide con il suo massimo splendore dell’attività concertistica. Il disco dal vivo infatti è inciso pochi mesi dopo At Folsom Prison e poco prima di At San Quentin, registrazioni che consacrano Johnny Cash come uno dei più grandi artisti e performer della storia: “Hello, I’m Johnny Cash”!