Per Don Ettore Cannavera l’eutanasia è un’opzione da incoraggiare, l’inferno non esiste e Dio non vuole la sofferenza: anche solo così, le parole del sacerdote fondatore della Comunità “La Collina” nelle campagne di Cagliari, potrebbero essere materia Sinodi o Concilii. Specie se a pensarla come il prete sardo dovessero essere in tanti all’interno della Santa Chiesa Apostolica.
Contestualizziamo: con l’imminente ormai referendum sull’eutanasia promosso dall’Associazione Luca Coscioni, la raccolta firme prosegue e ritmo vertiginoso con adesioni anche importanti dal mondo della cultura, della politica e dello spettacolo. Mancava però la Chiesa e Don Ettore ha “colmato” questa distanza scatenando un putiferio prevedibile. Nell’intervista a “Il Manifesto” il sacerdote – che da oltre 25 anni aiuta i giovani a cui il Magistrato di Sorveglianza ha concesso una misura alternativa alla detenzione in carcere – spiega nel dettaglio il perché non solo sia concorde con la pratica della “dolce morte”, ma abbia anche firmato e sostenuto il referendum dei radicali. «Noi siamo lo strumento per la vita. Ho appreso da prete che ogni nuova vita è un dono di Dio. Si dice che essendo la vita un dono di Dio non può essere rifiutata. Io penso che la vita sia qualcosa di più articolato», spiega don Cannavera intervistato dal quotidiano comunista. L’assunto è semplice: «Dio ha dato la possibilità di creare una nuova esistenza», ma ne diventa però totalmente proprietario, responsabile solo «il titolare di questa nuova esistenza. L’esistenza non è riassumibile in essenza biologica».
IL PRETE “CONTRO” LA CROCE
Secondo il sacerdote premiato con l’onorificenza di “Commendatore dell’OMRI” dal Presidente della Repubblica Mattarella, «Dio è dunque amore. Se l’essere umano nella sua esperienza terrena non riesce più a sperimentare qualunque relazione, ossia l’amore, e chiede lui di poter porre fine all’esistenza, e la scienza conferma che la sua morte relazionale è irreversibile, allora perché non aiutarlo?». Ribaltando la teologica cattolica ufficiale che vede nella Croce di Cristo l’estremo sacrificio per donare la vita e la libertà dal male ad ogni uomo, Don Cannavera sostiene che in realtà la religione cristiana non voglia affatto la sofferenza: «Dio ci ha creato per l’amore, per la gioia, per la felicità. Dio ci ha creato per godere la vita, non per soffrire. Se con il trapasso si dice che la vita è trasformata in qualcos’altro di meglio, perché allora non consentire di godersi questo passaggio?». Un prete a suo modo reazionario che si sofferma sulle battaglie di sinistra anche a costo di andare contro la stessa dottrina sociale della Chiesa: «Non esiste l’inferno. Lo diceva già negli anni Cinquanta Giovanni Papini. Non credo nell’inferno. Se diciamo che Dio è amore, come può esserci l’inferno. Un padre, Dio, che ama un figlio, come può mandarlo a soffrire all’inferno? Che amore sarebbe mai questo». A parte andare contro quanto solo qualche anno fa Papa Benedetto XVI sottolineava in un incontro con il clero di Roma – «l’inferno esiste e non è vuoto» – Don Ettore, partendo dalla buonissima causa di voler sostenere e stare vicino agli ultimi e ai sofferenti, sceglie una strada che difficilmente collima con la battaglia di tutti gli ultimi pontefici contro la “cultura dello scarto” e contro “la vita”. Il tema della morte e della sofferenza, i alcuni casi davvero insopportabile, resta un nodo irrisolvibile e spesso incomprensibile da mente umana: non per questo però, ci sembra, spingere sull’idea di un Dio “senza croce” può essere la strada più caritatevole (e cristiana).