Se si pensa che, nel 1995, quando ancora era leader dei Timoria, gruppo rock bresciano in cui il cantante era Francesco Renga, oggi pop star di grande successo, Omar Pedrini pubblicò un disco intitolato 2020 Speedball, viene davvero da pensare che la sua vena profetica sia qualcosa di reale. Nel disco, infatti, le canzoni ruotano intorno al tema di un pianeta ormai in sfacelo ambientale e dominato dalla realtà virtuale di personaggi televisivi: quello che abbiamo vissuto nel 2020 con la pandemia da Covid e che viviamo ormai da anni con lo strapotere di internet.
Ma Pedrini è un personaggio straordinario, non un saltimbanco: cantante, musicista, poeta, scrittore, autore di programmi televisivi e docente all’Università Cattolica di Milano in Creazione e comunicazione artistica, il cui sguardo sulla realtà travalica ogni barriera. Insieme a Davide Rondoni, giovedì 16 settembre sarà protagonista presso l’Abbazia Mirasole a Opera (Milano) dell’incontro Il silenzio, la natura, la parola nell’ambito del ciclo Abbazia Poesia a cura del Progetto Mirasole e della rivista clanDestino (per partecipare scrivere a: [email protected]). Omar Pedrini è miracolosamente passato attraverso ben quattro interventi al cuore, l’ultimo dei quali lo scorso giugno: il suo amore per la vita è indomabile. Lo abbiamo intervistato.
Oltre che per la musica, il tuo amore per la poesia e per la letteratura è stato sempre ben presento nella tua vita, hai anche collaborato con “il guru” della Beat Generation, Lawrence Ferlinghetti. C’è differenza fra le due forme di comunicazione?
Mi considero poeta con la “p” minuscolissima. Amo sempre dire che la musica è mia moglie, cinema e poesia le mie amanti. Per me non ci sono differenze. Ho fatto il mio primo disco a 18 anni, sono stato a Sanremo che ne avevo 22, ho fatto programmi televisivi, ho cominciato a insegnare comunicazione artistica all’Università Cattolica di Milano, cosa che faccio tuttora. Dopo la seconda operazione al cuore mi dissero che non avrei più potuto cantare, fu un dramma.
Come hai reagito?
Buttandomi in altre attività, come il teatro e la televisione. Fortunatamente, dopo la terza operazione, il chirurgo mi disse che il diaframma schiacciava le corde vocali e che mi aveva spostato l’aorta, cosa che mi ha permesso di tornare a cantare.
Hai da poco pubblicato la tua biografia, Angelo ribelle (Edizioni La nave di Teseo). Ne parlerai, ne leggerai degli estratti all’Abbazia Mirasole?
Sicuramente. È la storia della mia vita, delle mie passioni, del mio modus vivendi. È anche la storia della mia famiglia, dal mio bisnonno liutaio che costruiva mandolini e chitarre, a sua moglie, che suonava la chitarra nel suo paese, una cosa incredibile per quei tempi: una donna che si esibiva in pubblico come chitarrista… La consideravano una matta.
Il tema della serata è “silenzio, natura, parola”. Cosa ti suggerisce ciascuna di esse?
Sono tre parole fondamentali. Mi viene in mente Majakovskij, che diceva: “la parola è il condottiero della forza umana”. La parola è trascinante, bisognerebbe stare molto attenti al suo uso in un’epoca come questa, piena di alterchi e urlatori televisivi. Bisogna riportare la parola al suo significato vero. Oggi nessuno pesa più le parole, con internet la parola ce l’hanno tutti, ci si rende conto che la metà delle persone sono davvero stupide. Una volta il diritto di parola te lo dovevi guadagnare, oggi è a disposizione di tutti con risultati devastanti.
Il silenzio invece?
Il silenzio per un musicista è importantissimo. Per noi il silenzio è la pausa, non è silenzio come mancanza di parola. Il silenzio è l’assenza di suono che fa parte della dinamica della musica. Penso a Bill Evans, il musicista jazz, che era famoso per le sue pause. Il bello del silenzio è quando lo ascolti. Serbarsi in silenzio, come diceva San Francesco.
E la natura? Pandemia, disastri ambientali, sembra che ci si stia rivoltando contro, cosa ne pensi?
È madre e matrigna. Da tempi non sospetti mi occupo di ecologia, nel 1994 incisi un disco che si intitolava 2020, immaginavo un anno di catastrofi e adesso quel disco lo chiamano profezia di Pedrini. La natura, avendola maltrattata, ci sta facendo pagare il conto. Oggi più che mai è fondamentale, deve essere un imperativo per chi ha voce pubblica, parlare in sua difesa. Sarebbe bello una volta sentire un calciatore dire ai giovani di fare attenzione al pianeta.
Visto il luogo dove si svolgerà l’incontro e visto che ti sei esibito prima di Papa Francesco durante la sua visita a Milano, aggiungo una parola: fede.
È sempre stata la mia ossessione. La canzone Sangue impazzito parla proprio di quando avevo perso la fede, cosa che poi ho ritrovato: la storia di un ragazzo che si butta nella droga e negli eccessi, era la mia storia. È un brano sulla ricerca di Dio in un momento in cui non lo trovavo più. Esibirmi davanti al Papa sarà l’unica volta in cui ho potuto cantare davanti a un milione di persone. Ho suonato al concerto del Primo Maggio di fronte a 200mila persone, a Parigi alla festa della musica erano in 400mila, ma vedevo sempre l’ultima fila. Quel giorno davanti a un milione di persone non riuscivo a vedere dove finivano. Quando mi stavo esibendo, è arrivato il Papa, volevo correre ad abbracciarlo, ma non ho potuto. Lo ammiro tantissimo, aver scelto il nome di Francesco ha riportato il pensiero della Chiesa agli ultimi. Qualcuno lo critica, invece penso che anche la gente di fede debba immergersi nell’umiltà e nella povertà.
(Paolo Vites)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.