Tiziana ‘Titti’ Parenti, ex magistrato, avvocatessa e politica italiana, entra “a gamba tesa” sullo scontro durissimo in corso dentro e fuori la Procura di Milano tra Francesco Greco e Piercamillo Davigo, rivelando scenari inquietanti su cosa avvenne nella medesima procura non più di 28 anni fa in piena Tangentopoli.
Con una lunga intervista a “Il Dubbio” l’ex parlamentare di Forza Italia racconta cosa avvenne nel 1993 all’interno del Pool di Mani Pulite di cui lei faceva parte: «Francesco Greco non ha fatto parte del Pool all’epoca di Tangentopoli, Davigo sì. Ma è vero che le nuove tensioni mostrano quanto sia pericoloso per la magistratura eccedere nel protagonismo. Finisce male perché a un certo punto alcuni magistrati, inclusi i miei ex colleghi di Milano, hanno smesso di intendere la loro funzione in termini di esclusiva ricerca della giustizia rispetto al caso concreto». Secondo Parenti, in quegli anni di profonda crisi politica, molte toghe all’interno del Pool più osservato d’Italia hanno ritenuto «di doversi assumere una responsabilità più grande, di doversi fare carico di un progetto di cambiamento del Paese in cui appunto sarebbero stati protagonisti». Non solo azioni dirette a condizionare la politica con inchieste e avvisi di garanzia, ma una vera e propria radicata convinzione che alcuni magistrati, secondo Parenti, «potessero anche impegnarsi direttamente in politica, pur senza cercare collocazione in uno dei pochi partiti sopravvissuti. E certo il clima di Mani pulite, nel 93, ha esasperato questa convinzione».
“QUEL RAPPORTO TRA TOGHE E PDS…”
L’avvocatessa del Foro di Genova rivela sempre a “Il Dubbio” del particolare e stretto legame che intercorreva tra alcuni magistrati del Pool e gli esponenti del Pds (il Partito Democratico della Sinistra, nato sulle ceneri del Pci dopo la Svolta della Bolognina di Occhetto): «Io non partecipavo ad alcune delle riunioni più delicate, innanzitutto a quelle in cui si discuteva dei filoni investigativi dei quali non avevo diretta competenza, quelli sui partiti di governo. Io ero la sola a lavorare sul Pds. Ma posso dire, ad esempio, che c’era nei componenti storici del Pool la consapevolezza di un quadro politico successivo alle inchieste in cui la sinistra politica sarebbe rimasta sola o quasi». Non solo, osserva Tiziana Parenti, il punto non era tanto la questione ideologica bensì il peso politico e lo spazio di incidenza del Pds, ovvero della sinistra, «rappresentavano certamente l’interlocutore ritenuto, dalle toghe, più adeguato al realizzarsi dell’obiettivo». Senza l’arrivo di Berlusconi un anno dopo (nel 1994, con la vittoria alle Elezioni Politiche) quell’asse si sarebbe potuto stabilizzare portando ad esiti tutt’oggi incerti: «Può darsi che la devastazione politica prodotta da quell’inchiesta abbia in effetti suscitato in una parte della magistratura la convinzione che, spianato il deserto, occuparsi del potere diventava doveroso, necessario. Non lo so, ripeto: a certe riunioni io non partecipavo, ero esclusa. Ma l’aria che si respirava nella magistratura italiana, nel 1993, era quella. D’altronde, un conto è cercare la verità su un fatto specifico, altro è assumere iniziative che rovesciano il Paese come un calzino […] C’era un’idea di potere da assumere, in modo anche diretto. Poi Berlusconi si è frapposto e quell’idea è svanita. Ma a quale prezzo, almeno per Berlusconi, lo abbiamo visto», conclude un’amara Tiziana Parenti.