Cosa succede davvero a Kabul? Secondo fonti informate, la formazione del governo talebano sarebbe avvenuta in seguito a una vera e propria rissa con i mitra spianati, tanto che una figura di spicco come il mullah Abdul Ghani Baradar, l’uomo che firmò gli accordi con gli americani ed esponente dell’ala più diplomatica, sarebbe fuggito o misteriosamente scomparso.
A prendere il sopravvento sarebbe stata invece l’ala più dura, rappresentata dal ministro degli Interni, Khalil Rahaman Haqqani, “leader di un network terrorista radicale legato ad al Qaeda che ha sulla coscienza una quantità di attacchi pesantissimi”, ci ha detto il Marco Lombardi, docente di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È in corso un vero e proprio regolamento di conti, ci ha detto ancora, “di cui nessuno conosce quale sarà l’epilogo perché bisogna tenere conto che i talebani sono frammentati in una miriade di gruppi e soprattutto non sono più quelli della guerra contro i russi soltanto, ci sono anche i giovani che hanno combattuto negli ultimi vent’anni e che premono per avere più spazio nel nuovo Afghanistan”.
Che cosa sappiamo di quello che sta succedendo tra i talebani? Sono in corso lotte fa di loro per assumere il potere?
In Occidente si pensa ai talebani come a una unica entità, ma in realtà non sono assolutamente un gruppo unito. Esprimono una pluralità di interessi dei vari gruppi in cui sono frammentati gli studenti coranici. Ed era evidente che nel momento in cui sarebbero andati al governo avrebbero cominciato a litigare.
Stupisce la sparizione del mullah Baradar, la figura più diplomatica e più significativa fino a questo momento.
Non è chiaro quello che sta accadendo e nessuno lo può capire, per questo dobbiamo usare dei modelli astratti. Fino a questo punto il mullah Baradar è stato estremamente utile alla causa, perché era l’unico che poteva interloquire con gli americani, e come sappiamo gli accordi sono utilissimi per essere sfruttati nel prossimo futuro per interessi dei talebani.
Perché?
I talebani insistono sul fatto che negli accordi ci sia uno statement secondo il quale chi entra a far parte del governo esce dalle liste di proscrizione americane. Buona parte di chi fa parte del governo, cinque almeno, sono ex prigionieri di Guantanamo. Questo permetterebbe loro di essere ripuliti da ogni accusa.
Quali altri interessi ci sono all’interno dei talebani?
Dobbiamo tenere conto di un fattore importante, c’è una forte differenza generazionale. È sicuramente vero che c’è una continuità con i mujaheddin degli anni 80, ma dietro di loro ci sono seconde linee che premono, formate da chi ha fatto la guerra negli ultimi vent’anni. Sono giovani che niente hanno a che fare con la guerra ai russi, e premono per essere riconosciuti e infatti avevamo pensato avessero avuto più spazio nel governo, invece è stato formato in maggioranza con i talebani di una volta, piuttosto che con i “talebani 2.0” come molta pubblicistica ha detto. Sicuramente questa è una frattura che pesa al loro interno.
Quanto pesa l’influenza del Pakistan in questa diatriba?
Molto. L’intelligence pachistana sappiamo che riveste un ruolo chiave con molti gruppi talebani, li usa per i suoi interessi e questa è un’altra frattura. Molto difficile in queste divisioni capire oggi chi avrà la meglio.
Sembra che tra questi ci sia Khalil Haqqani sia tra quelli che stia avendo la meglio. Nominato ministro degli Interni, è da sempre legato all’ala dura e militare talebana.
Haqqani obiettivamente ha un po’ sorpreso tutti. Avere un ministro degli Interni del genere, a capo di un network terrorista radicale legato ad al Qaeda che ha sulla coscienza una quantità di attacchi pesantissimi, rappresenta l’affermazione dell’ala durissima, non dura, con un chiaro legame con il terrorismo qaedista. È difficile mettere a punto un riconoscimento di questo governo con un personaggio del genere. Sicuramente non è un atto di mediazione anche rispetto all’ala talebana più giovane.
Si è parlato tanto di Cina pronta a mettere le mani sull’Afghanistan, ma non si è esagerato? Per sfruttare le ingenti risorse minerarie del paese ci vogliono anni e in questo momento l’Afghanistan è una nazione instabile, pericolosa. Pechino sta alla finestra in attesa di momenti migliori?
La Cina non è alla finestra da anni. Nella zona confinante, quei pochi 70 chilometri di frontiera, i cinesi sono già presenti e sfruttano le aree minerarie di quella zona. La Cina è già in Afghanistan e ha tutte le possibilità per dire: mi prendo quello che mi serve.
Non ha bisogno di allearsi con i talebani, è questo che intende?
Non ha bisogno che i talebani dicano “adesso facciamo le infrastrutture”, ma solo di non rompere le scatole. Pechino dice: noi con le nostre capacità portiamo via tutto quello che ci serve e in cambio non vi rompiamo le scatole. Non è una questione di sfruttamento minerario, ma della dimensione di sicurezza che sta intorno alle procedure di sfruttamento del territorio.
(Paolo Vites)
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