E’ iniziata ieri la campagna vaccinale con la terza dose, indirizzata a soggetti fragili, immunodepressi o chi ha subìto trapianto di organi. Sarà indirizzata poi agli over 80 e soprattutto agli anziani che si trovano nelle Rsa. Restano però molti dubbi nel nostro paese, anche perché ci sono fonti sanitarie che sostengono che la durata del vaccino non superi i sei mesi e quindi ci sarebbe bisogno di una terza dose di massa, per tutta la popolazione. Sono incoraggianti i dati che provengono da Israele, dove la terza dose sugli over 60 è già stata praticata, con un risultato positivo del 95%.
Il problema, ci ha detto il professor Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di malattie infettive al Policlinico Gemelli, autore di uno studio sulla terza dose pubblicato alcuni giorni fa insieme al professor Antonio Cassone su Repubblica, “è che le scorte di vaccini non sono illimitate. E’ vero che i dati che giungono da Israele segnalano una efficacia notevole, ma è anche vero che l’uso massivo nelle popolazioni dei Paesi ricchi delle terze dosi non farà altro che esacerbare la scarsa disponibilità di prime dosi vaccinali nei Paesi poveri. Questo è un serio problema, perché la scarsa vaccinazione di molti paesi non fa altro che produrre varianti e mettere a rischio anche noi dei cosiddetti paesi ricchi. La pandemia la si vince tutti insieme o non si vince, per cui sulla terza dose ci vuole un atteggiamento di cautela”.
Da Israele giungono dati positivi sull’efficacia della terza dose, mentre non si ha certezza della durata dell’immunità. Questo spinge molti esperti a dire che la terza dose vada fatta da tutti con la stessa scadenza che si usa nei vaccini influenzali. E’ d’accordo?
Anche gli studi fatti in Inghilterra ci dicono che i dati ottenuti finora dal Cov-Boost indichino un beneficio della terza dose non solo nel recuperare un livello soddisfacente di risposta anticorpale, ma anche nel contrastare l’insorgenza di infezioni nei vaccinati da parte della variante Delta di Sars-CoV-2.
Lei è quindi favorevole a una campagna vaccinale di terza dose di massa?
Su alcune situazioni, quelle che al momento sono previste dalla campagna in atto, non c’è molto da aggiungere. Il problema però è sempre quello: dalla pandemia si esce tutti insieme. Le industrie farmaceutiche non hanno la possibilità di fornire dosi in numero illimitato. Come ha suggerito anche l’Oms prima di pensare alla terza dose forse bisognerebbe pensare a un livello di sicurezza di livello mondiale, perché le varianti insorgono nei paesi dove il vaccino non è arrivato. Tanto più il virus circola e tanto più può subire variazioni. E’ una evenienza che nessuno si augura, però bisogna vedere un doppio scenario, uno nazionale e uno internazionale.
Intende che un uso massiccio di vaccini con una terza dose nei Paesi ricchi non farà altro che esacerbare la scarsa disponibilità di prime dosi vaccinali nei Paesi poveri?
Purtroppo sì. Una pandemia finisce quando non ci sono più casi in nessuna parte del mondo per 40 giorni consecutivi. Siamo ancora lontani da questo scenario anche se la situazione in Italia oggettivamente è molto migliorata.
Suoi colleghi, però, sostengono che sia ormai provato che l’immunità vaccinale non duri più di sei mesi, si parlava di un anno. Altri sostengono che una terza dose su chi non ha risposto alle prime due vaccinazioni non funzionerà. Quindi? La sua opinione?
E’ una cosa che va chiarita. Gli anticorpi sono parte dell’immunità. E’ chiaro che nelle vaccinazioni ci sono i cosiddetti no responder, coloro a cui i vaccini non fanno nulla, esistono in tutti i tipi di vaccinazione. Non sappiamo per quanto riguarda il Covid in che percentuale siano presenti. Con un no responder è evidente che, pur continuando a iniettargli più dosi, non risponderà mai, ma ci sono situazioni come i trapiantati o gli immunodepressi dove la terza dose è di ausilio. Poi si può discutere sulla popolazione generale e si può decidere di farla con un minor dosaggio.
Cioè?
Nel nostro articolo io e il professor Cassone proponiamo l’utilizzo di una dose minore: un quarto o una metà dose sembra avere la stessa efficacia della dose intera. Una proposta che è stata avvalorata da uno studio analogo pubblicato su Science, nel quale si parla anche di metà dose con cui si otterrebbero gli stessi risultati di una dose di vaccino. Ridurre il dosaggio consentirebbe così di mandare le fiale nei paesi poveri: se non lo facciamo, da lì arriveranno nuove e più pericolose varianti. Le soluzioni prospettabili sono tante, ma aspetterei dati più precisi da Israele.
(Paolo Vites)