Equità, pace sociale e produzione sono i tre obiettivi indicati dal Premier Mario Draghi in occasione dell’assemblea annuale di Confindustria celebrata giovedì 23 settembre al PalaEur. Una scelta dovuta alla volontà di riunire nuovamente in presenza il grande popolo dell’industria italiana e alla contemporanea esigenza di rispettare le precauzioni anti-Covid. Esperimento riuscito.
Come le cronache hanno ampiamente raccontato, Draghi è stato lungamente applaudito. E solo dopo essersi alzato e rimesso a sedere, in attesa di prendere la parola, il frenetico battimani si è fermato. Un messaggio che va oltre la condivisione delle politiche governative perché segnala un vero e proprio sostegno all’azione dell’uomo venuto dalla Banca centrale europea.
Come già il trittico distillato e offerto agli astanti durante la cerimonia di addio a Francoforte (conoscenza, coraggio, umiltà), così il terno mostrato alla platea degli industriali – cui si deve in gran parte la formidabile crescita del 6 per cento prevista per quest’anno in Italia, come orgogliosamente ricordato dal presidente Carlo Bonomi – fissa precise direzioni di marcia.
Equità. Non si va da nessuna parte se l’incremento di ricchezza dovesse riguardare una fetta marginale della popolazione. Se la ripresa dovesse premiare chi è già in cima alla scala sociale. Se il divario tra chi sta bene e sta male dovesse allargarsi. Il balzo in avanti deve coinvolgere tutti ed è anche per questo che una misura controversa come il Reddito di cittadinanza va migliorata e non cancellata.
Pace sociale. È tempo di un nuovo patto per lo sviluppo. Espressione che al presidente del Consiglio non piace, ma che rende bene la criticità del momento paragonato – anche nel filmato che ha introdotto i lavori – al magico periodo del Dopoguerra quando padroni e operai, esemplificativi della fabbrica del tempo, misero da parte differenze e diffidenze per collaborare alla ricostruzione del Paese.
Produzione. E sì, perché senza di questa non ci possono essere equità e pace sociale che tengano. Confindustria e sindacati devono trovare la strada di una rinnovata cooperazione magari rispolverando i principi contenuti nel Patto della Fabbrica firmato nel 2018 e già depositario di prescrizioni utili a far evolvere le relazioni industriali in senso moderno e corresponsabile.
È chiaro che Draghi fa appello alla buona volontà delle singole persone chiamate in qualsiasi ruolo a inverare le intenzioni espresse nel Piano nazionale di ripresa e resilienza che l’Europa ci ha approvato un po’ per quel che promette e molto per il prestigio di chi l’ha firmato. L’espressione è forte ma non esorbitante rispetto al bisogno: quel che serve è una vera e propria rivoluzione.
Una rivoluzione di testa, prima di tutto, affidata a un nuovo gruppo dirigente che dovrebbe agire per l’Italia come Guido Dorso suggeriva per il Mezzogiorno: organizzando “una piccola élite senza paura e senza pietà – la lotta potrà essere lunga ma l’esito non sarà dubbio – poiché tutta la storia italiana non è altro che il capolavoro di piccoli nuclei che hanno pensato e agito per le folle assenti”.
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