La passione di Alessandro Haber per la finzione è sempre stata impagabile: “A 6 anni già recitavo, volevo fare l’attore. Una strana ossessione, una malattia. Mi travestivo, inventavo spettacolini per i miei genitori, ero scatenato”, ha raccontato nel corso di una lunga intervista al Corriere della Sera. La recitazione ha caratterizzato tutta la sua vita, tra alti e bassi.
Tutto è iniziato quando l’attore, nato da padre romeno e madre italiana, viveva a Tel Aviv, in Israele. “Mi incantavo davanti agli animali e in particolare adoravo i gorilla: gli buttavo tante noccioline, loro mi sorridevano e me le ributtavano. Avrei voluto giocare con loro ed entrare nella gabbia, che era una specie di palcoscenico”, ha ricordato. A 7 anni il primo debutto, nel teatro della parrocchia. Salito sul palco, tuttavia, si fece la pipì addosso. Non per l’emozione, ma per il divertimento. “Forse perché qualcuno di noi aveva sbagliato una battuta o non si era ricordato una frase del testo da pronunciare”. La mamma finse che non fosse suo figlio e ancora a distanza di anni gli ripete: “Cambia mestiere!”. Tra i suoi ispiratori ci sono stati personaggi molto diversi tra loro: da Marlon Brando a Gigi Baggini, fino a Pier Paolo Pasolini. In passato, tuttavia, ha pensato di non farcela, di diventare un fallito. Ciò, per fortuna, non è accaduto.
Alessandro Haber: “A 6 anni recitavo”. Il ricordo dell’infanzia e la scuola
Nel corso dell’intervista, inoltre, Alessandro Haber ha ripercorso la sua infanzia. Il rapporto con lo studio è stato intricato. “In Israele, in collegio i Frères mi picchiavano sulle mani con il caucciù perché in verità ero incontenibile, rispondevo male, avevo sempre la battuta impertinente: meglio le botte che studiare”, ha raccontato. È per questa ragione che una volta scappò nel bosco. Rimase lì una notte intera, finché il padre all’alba non lo ritrovò. Ancora oggi gli è rimasta la paura del buio.
Al rientro in Italia, dove è nato nel 1947, non andò meglio. “Prima a Castiglione dei Pepoli poi a Verona, i professori mi picchiavano con il battipanni, ma non provavo grande dolore, perché evidentemente sentivo che le botte me le meritavo”. Dopo anni di lotte, alla fine, riuscì a prendersi il diploma, pagato dal padre.