I risultati delle elezioni tedesche non hanno avuto effetti particolarmente visibili sui mercati europei nonostante si apra una fase di incertezza sul governo che potrebbe durare molti mesi. Ieri sera si dava per probabile una coalizione formata da verdi, i “socialisti” di SPD e i liberali di FDP; è una compagine che avrebbe bisogno di lavorare a lungo su un compromesso accettabile perché, per esempio, FDP è scettica sulla spesa pubblica e vorrebbe far diminuire le tasse mentre i verdi avrebbero bisogno di finanziare la “rivoluzione verde”. La politica tedesca è una parte centrale di quella europea anche dopo il passaggio di consegne di Angela Merkel e ai mercati di certo non sfuggono le differenti sensibilità all’interno dell’Unione.
Non è la prima volta che le elezioni tedesche aprono una fase di trattative, ma lo scenario attuale è completamente diverso da quelli precedenti. La pandemia e gli strumenti scelti dai governi per combatterla hanno prodotto una frattura economica e sociale e si affacciano all’orizzonte questioni che metteranno a prova “la politica”. I mercati e gli investitori sono consapevoli delle sfide che si aprono, ma siamo ancora in una fase in cui il breve periodo domina grazie a massicci interventi delle banche centrali. Non conviene a nessuno, sui mercati, preoccuparsi prima del tempo; è un approccio che non ha pagato negli ultimi trimestri e che in questo momento non paga ancora.
Ci sono almeno tre questioni che interrogheranno profondamente la politica europea e che metteranno a nudo le sensibilità differenti dei Paesi membri. La prima questione, particolarmente sentita in Germania, è l’inflazione. Sappiamo che è già superiore a quella degli ultimi vent’anni e che i dati ufficiali sottostimano l’impatto sulla popolazione, sia sul ceto medio che sulle fasce più fragili. Se l’incremento dei prezzi non si dovesse arrestare oppure dovesse peggiorare la politica si porrebbe il problema delle misure della Bce su cui oggi non si discute perché l’incremento dei prezzi è temporaneo e perché c’è la pandemia che sono due condizioni che potrebbero anche finire. Togliere gli investimenti verdi dal calcolo del deficit potrebbe non essere sufficiente per i Paesi più indebitati e con le economie più fragili anche ipotizzando interpretazioni creativi di ciò che è “verde” o no.
La seconda questione è il rapporto con la Russia e le sue forniture di gas. Anche in questo caso le sensibilità sono diverse perché, per esempio, la Francia non ha bisogno di gas russo come la Germania e non è un Paese a stretta vocazione manifatturiera. Qualsiasi irrigidimento dei rapporti con la Russia interrogherebbe la politica tedesca diversamente da quella francese; tanto più dopo il completamento del gasdotto Nord Stream 2.
La terza questione è la guerra commerciale, più o meno sbandierata o mascherata, con la Cina. È una guerra che influisce sui Paesi manifatturieri ed esportatori, la Germania e l’Italia nella sua parte settentrionale, molto più e diversamente dalla Francia.
La pandemia ha momentaneamente messo in naftalina le polemiche tra Paesi membri e le fratture sono state, anche mediaticamente, ignorate. Eppure ci sono ancora e lo scenario si sta evolvendo in un modo che non aiuterà a sopprimerle. L’incertezza in Germania e l’uscita di Angela Merkel non aiutano ad avere più certezze. Intanto registriamo che FDP è il partito che ha avuto più successo tra i giovani. La sensibilità degli elettori tedeschi, in una fase in cui il Brent sfiora gli 80 dollari al barile e il gas tocca nuovi massimi, probabilmente non aiuta la coesione europea.
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