È un paradosso quello che propone Massimo Cacciari in merito allo sviluppo che ha preso l’istituto del referendum in Italia con l’allargamento della raccolta firme anche online: «più referendum? Meno democrazia». Questo il senso dell’editoriale lanciato sull’ultimo numero dell’Espresso dal titolo “Il rischio della democrazia digitale”, confermato anche dalla successiva intervista a Radio Radicale dove delinea i contorni del suo “paradosso”.
Per il filosofo ed ex sindaco di Venezia, salito agli altari della cronaca ultimamente per le sue posizioni di profondo dubbio e scetticismo sull’uso del Green Pass, l’assunto è semplice: «la proliferazione di iniziative referendarie è lo specchio impietoso di un processo di de-formazione dell’attività legislativa in atto ormai da decenni in questo Paese, e non solo». Così Cacciari sull’Espresso stronca il nuovo corso inaugurato dal referendum sulla cannabis e sull’eutanasia, di cui pure l’ex membro Pd rivendica di esserne a favore per i contenuti: «c’è il rischio di ridurre l’espressione del proprio parere e della propria opinione al solito click».
LA FINE DELLA DEMOCRAZIA (CON I REFERENDUM?)
Se infatti passa la possibilità di aderire ad un referendum tramite clic online o, chissà, anche con un like, allora il paradosso di Cacciari è servito: «chiaramente Chiara Ferragni, con il limite attuale di firme che abbiamo, può benissimo promuovere 500 referendum al giorno». Come poi argomenta sempre su Radio Radicale il filosofo, il problema riguarda non tanto l’istituto del referendum in quanto tale, ma la modalità in cui lo si realizza: «la moltiplicazione dei referendum è indice di una crisi profonda e radicale dell’istituto parlamentare […] Se si ritiene che la fine della democrazia rappresentativa sia il termine della corsa, questa è una autorevolissima opinione, però onestà intellettuale vuole che la si esprima». La fine della democrazia, di questa democrazia, con più partecipazione popolare alla politica? Il rischio del paradosso “cacciariano” porta dritti a questo dilemma: serve interrogarsi sulla qualità dei quesiti referendari, sulle sfide e le battaglie che si possono combattere, ma soprattutto serve un’onestà intellettuale per non fare della democrazia uno strumento utile solo quando si è d’accordo su temi/persone. Cacciari quantomeno è netto e pone la questione, si può essere d’accordo o meno, ma la pone: «siamo in un’epoca in cui magari i più convinti democratici, quelli che pensano davvero di battersi con le loro azioni per una riforma o per una rivitalizzazione del sistema democratico, utilizzando determinati mezzi, che non sono mai semplicemente mezzi perché il messaggio è nel mezzo, possono contribuire inconsciamente, involontariamente e, diciamo così, allegramente ad accentuare questa deriva di crisi generale delle istituzioni democratiche. Ed è una crisi che stiamo vivendo in pieno, soprattutto in questo Paese».